Lettere anonime in Procura, otto medici e un primario a Varese di fronte al giudice
Le indagini partite dalla guardia di Finanza dopo la ricezione di una segnalazione alla direzione sanitaria poi le ha trasmessa all'ultimo piano di palazzo di giustizia. Le contestazioni: operazioni “agevolate“ e referti operatori non veritieri

Le pene previste per i reati contestati, “truffa“ e “falsità ideologica“, non sono di poco conto, tuttavia nessuno dei legali dei medici finiti di fronte al giudice per l’udienza preliminare di Varese ha intenzione di chiedere riti alternativi: «Nel caso, andremo avanti, a dibattimento, perché siamo in grado di provare l’estraneità degli atti contestati ai nostri clienti», spiegano in maniera cortese ma molto sommariamente i legali intercettati fuori dalla camera di consiglio (in quanto l’udienza non è pubblica in questa fase processuale) che, per quanto riguarda il foro di Varese sono Fabrizio Piarulli, Elsabetta Brusa, Alberto Zanzi, Gianmarco Beraldo .
Clienti che sono: un primario di chirurgia della provincia di Varese, e otto medici. Il primo, oggi in aula, ha parlato dinanzi al giudice per contestare ogni addebito; un secondo medico ha chiesto di poter essere sentito nella prossima udienza, sempre in camera di consiglio, il 10 dicembre prossimo. Le contestazioni iscritte nel registro delle notizie di reato dalla Procura sono due.
Per il solo primario il giudice dovrà decidere se andare a processo per l’ipotesi di reato di truffa, «aggravata» poiché ai danni di un ente pubblico (l’ospedale); al direttore di struttura complessa viene contestato il mancato rispetto delle procedure previste dai regolamenti della Asst Sette laghi riguardanti l’esercizio dell’attività libero professionale, e di aver favorito alcuni pazienti per visite, ricoveri o interventi con un danno nei confronti dell’azienda sanitaria in sei episodi e per un importo complessivo che supera di poco i mille euro.
Allo stesso primario, unitamente ad altri otto chirurghi vengono imputati anche il reato di «Falsità ideologica commessa dal pubblico ufficiale in atti pubblici» per aver menzionato nei referti operatori di una quindicina di interventi la presenza del primario (chiamato, solo lui, a rispondere l’aggravante di “chi, nell’esercizio della sua autorità, direzione o vigilanza, ha determinato a commettere il reato persone ad esso soggette”).
Un fatto, contestano le difese, che sarebbe tuttavia spiegabile per il ruolo di “tutor” che il luminare ricopriva, cioè una funzione che non necessariamente prevedeva l’obbligo di presenza ma poteva contemplare addirittura il collegamento in sala operatoria “da remoto”, la consulenza a distanza, o il semplice parere fornito parzialmente rispetto alla durata complessiva della prestazione sanitaria.
Come anticipato la strategia difensiva vuole portare a dimostrare l’estraneità dei fatti da parte degli imputati: ciò non necessariamente contempla l’arrivare al processo dal momento che il giudice potrebbe anche decidere per il proscioglimento e non per il rinvio a giudizio. L’Azienda socio sanitaria territoriale dei Sette Laghi non si è costituita parte civile.
La genesi dell’inchiesta, da quanto trapela, sarebbe da ascriversi ad una lettera anonima recapitata alla Procura di Varese dalla direzione dell’Azienda sanitaria che in maniera sufficientemente circostanziata avrebbe delineato un quadro indiziario cui i titolari delle indagini, col supporto della guardia di Finanza in veste di polizia giudiziaria, hanno dato seguito.
(immagine di repertorio)
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