Coniugi di Caravate rimasti senza casa: il giudice rigetta la richiesta di un differimento

Respinta la richiesta di marito e moglie al tribunale di attendere due mesi per dare seguito all’allontanamento dall’abitazione per un vecchio debito

giudiziaria

Il giudice del tribunale civile di Varese ha rigettato la richiesta presentata dai legali della coppia colpita da una misura esecutiva (pignoramento) nella giornata di lunedì a Caravate. I coniugi ultrasessantenni avevano impugnato il provvedimento esecutivo disposto dal giudice a fronte di un lungo procedimento in sede civile legato ad un vecchio debito: il nuovo creditore pretendeva la soddisfazione del suo credito. Marito e moglie avevano richiesto un ulteriore termine, fino a quando cioè non sarebbe partito il contratto di locazione già sottoscritto per un’altra residenza.

Ma nella giornata di lunedì i carabinieri sono dovuti uscire per dare seguito alla decisione dei magistrati del tribunale di Varese, cioè di liberare l’appartamento.

La coppia opponeva il fatto di aver già in mano un nuovo contratto di locazione per altra sistemazione a partire dal 15 settembre. Nel frattempo in questi giorni grazie all’intervento dell’amministrazione comunale di Caravate, nella persona del sindaco Nicola Tardugno, i due allontanati dalla propria abitazione hanno trovato riparo in altra sistemazione momentanea.

Per giunta il debito col creditore risulta interamente saldato: la vendita dell’immobile è successiva al pagamento concordato con il creditore, che aveva rinunciato alla procedura.

Ma secondo i giudici di Varese «deve essere respinta la richiesta (dell’“esecutato“, cioè del soggetto verso il quale viene fatta valere l’esecuzione ndr) dato che il suo accoglimento configurerebbe un abuso di potere. Infatti, l’immobile in questione è ormai di proprietà della persona che ha ottenuto l’aggiudicazione», si legge nel provvedimento giudiziario, dal momento che «sarebbe abnorme un provvedimento che imponesse all’aggiudicataria di farsi carico dei problemi abitativi dell’esecutato con una forzosa concessione del possesso dell’immobile per cui l’aggiudicataria ha versato una consistente somma di denaro».

Infine sempre il giudice fornisce indicazioni legate alla richiesta dei difensore dello sfrattato, che aveva domandato in subordine al giudice che venisse disposto ogni opportuno provvedimento di carattere sociale e assistenziale per evitare che i suoi clienti rimanessero privi di dimora, eventualmente disponendo l’interessamento dei servizi sociali competenti.

«Deve essere al riguardo evidenziato», scrive il giudice «che il tribunale ha competenza soltanto sulla regolare applicazione della legge per i processi introdotti dai consociati. Il tribunale non ha invece alcuna competenza per la tutela degli interessi di “carattere sociale e assistenziale” ai quali si riferisce la parte esecutata, tutela che spetta invece ad appositi organi della pubblica Amministrazione. Il giudice dell’esecuzione, quindi, una volta eseguito l’ordine di liberazione, è assolutamente privo di poteri idonei a porre rimedio al problema abitativo dell’esecutato. Non vi è del resto alcuna ragione per una trasmissione di atti ai servizi sociali, dato che l’esecutato è una persona pienamente autonoma, maggiorenne e persino assistita da un avvocato. La decisione di rivolgersi agli assistenti sociali deve quindi essere presa dall’esecutato in piena autonomia e non vi è alcun motivo di imporre un interessamento della pubblica Amministrazione in via sostanzialmente autoritativa da parte del giudice».

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Pubblicato il 17 Luglio 2025
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