“Se lo dice un uomo, lo ascoltano. Se lo dici tu, sei quella con il brutto carattere”
La neuroscienziata Laura Cancedda racconta la sua esperienza tra startup, scienza e leadership femminile: strategie per essere prese sul serio in un mondo che ancora fatica a sentire le donne

Perché un cervello decide di rientrare in Italia? Forse perché non è mai fuggito. La definizione “fuga di cervelli”, tanto amata dai giornalisti, sottintende una scelta forzata rispetto a un contesto negativo, mentre nella realtà è la risposta naturale a un bisogno di confronto che hanno i giovani studiosi, umanisti o scenziati che siano.
Laura Cancedda, per esempio, dopo una laurea all’Università di Genova in Chimica e tecnologie farmaceutiche, ha fatto un dottorato alla Scuola Normale di Pisa e un post-doc all’università di Berkeley, in California per poi ritornare all’Istituto Italiano di Tecnologia, dove è senior researcher, fondatrice e consulente scientifica della startup Iama Therapeutics lanciata nel 2021 e basata sulla sua ricerca.
Con il suo stile empatico e senza retorica ha condiviso alla Liuc di Castellanza, in occasione della Settimana dell’innovazione, la sua esperienza, tra impresa, scienza e condizione femminile.
UNA STRADA LUNGA E IMPERVIA
La startup Iama nasce da un’idea di dodici anni fa e da un primo brevetto che nemmeno la ricercatrice aveva capito quanto fosse importante. Da lì, pubblicazioni, la costruzione di un piano di sviluppo, e soprattutto la necessità di reperire fondi: «Ho capito subito che ne servivano tanti. Poi ho capito che ne servivano ancora di più». Un percorso tortuoso: «Solo per trovare i soldi ci sono voluti tre anni. Due deal sono saltati all’ultimo. Una volta, quando il fondo si è ritirato, mi sono messa a piangere. Non piango mai».
Alla fine, però, Laura e il suo team ce l’hanno fatta: 12 milioni raccolti nel primo round, 15 nel secondo. Totale: 27 milioni di euro. «Per me è tantissimo – dice la startupper -. Noi siamo partiti da una pubblicazione di fisiologia. Ora abbiamo una pipeline di più farmaci, uno studio clinico di fase 1 appena concluso e un contratto con una Pharma che finanzia la nostra ricerca».
DALLA BASE ALL’IMPRESA, DUE MONDI DIVERSI
Un’esperienza, quella della scienziata, che mette in luce il divario tra ricerca di base e impresa biotech. «Quando fai ricerca non sai dove stai andando. Con i soldi, invece, puoi dare molto in outsourcing e accelerare. Il nostro piano è nato e in due anni e mezzo abbiamo già chiuso la fase uno. Un tempo record, per me».
Ma i problemi non sono solo finanziari.
C’è anche la complessità dei rapporti dentro una startup: «All’inizio tutti sembrano avere lo stesso obiettivo: far andare bene la company. Ma poi ti accorgi che ‘far andare bene’ significa cose diverse. Per alcuni è vendere subito, per altri arrivare fino alla fine col farmaco. E gli stessi interlocutori cambiano nel tempo».
FARSI ASCOLTARE È DURISSIMA
«Farsi ascoltare è durissima».
Una parte dell’intervento si è concentrata sull’imprenditoria al femminile, e Laura non ha girato intorno alla questione. «Non è solo la difficoltà a farsi largo. È proprio il farsi ascoltare. Nei meeting, dici una cosa e dopo mezz’ora un uomo la ripete e tutti lo ascoltano. È come se ci fosse un filtro». E ancora: «In due occasioni mi hanno aumentato lo stipendio perché obbligati da una commissione sulle pari opportunità. Te lo dicono pure, come fosse un favore. È surreale».
Una soluzione? «Non lo consiglio di fare da sole. Meglio costruire team equilibrati. Io ho Anna Lisa al mio fianco, e siamo al 50% con due uomini. Ma serve anche un alleato uomo, uno che dica la tua idea a voce alta. Spesso è l’unico modo per farla passare». “
È UNA COMPETENZA DA IMPARARE
Laura ha raccontato di aver frequentato corsi per capire come comunicare meglio in un ambiente dominato da uomini. «Il problema è che quando loro parlano tu dici subito “bellissima idea”, perché sei abituata a cooperare. Loro, invece, quando parli tu, iniziano a chiederti di spiegare meglio, di approfondire. E la discussione dura 40 minuti. Alla fine sei quella con il carattere difficile. Invece, devi dire ‘interessante, devo pensarci’. Ti prendi il tuo spazio. Funziona”. Etica e visione: la bussola per decidere Un altro tema chiave è stato quello dell’etica aziendale. «Se non si decide prima qual è l’etica della company, poi ogni scelta diventa uno scontro. Chi vuole risparmiare, chi vuole creare un ambiente ideale per i giovani ricercatori. Tutti hanno ragione, ma si litiga per ore. Se invece l’etica è chiara, si decide in un secondo».
Il valore della squadra e della ricerca
«Rimanere fedeli alla squadra iniziale è fondamentale. Anche se si evolve, se uno diventa bruco e l’altro farfalla, bisogna ricordarsi da dove si è partiti. E bisogna sempre ascoltare. Se non avessi ascoltato Marco De Vivo, oggi non sarei qui».
Laura Cancedda ha chiuso il suo intervento con un messaggio chiaro: «La ricerca di base ha potenziale. Anche se sembra lontana dai pazienti, può cambiare le loro vite. Ma servono soldi, tanti soldi. E alleanze, tra donne, uomini, investitori. Alleanze chiare, dirette».
Poi condividendo le immagini dei suoi laboratori ha aggiunto: “Questi sono neuroni liquidi e questi sono fulmini nella notte. Foresta di cervello, neuroni su una tavolozza, bio Kandinsky, uno dei miei preferiti, il bacio della neurogenesi e la barriera corallina. La verità è che le neuroscienze sono bellissime».
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