Il disfacimento dell’Impero americano
L'analisi geopolitica di Gian Marco Martignoni
Caro Direttore,
la guerra commerciale intrapresa su scala planetaria dal governo americano, guidato dall’instabile Donald Trump, al di là delle minimizzazioni e i silenzi di Giorgia Meloni, impelagata in reiterati incontri con gli autocrati di Tunisia e Turchia, con un occhio di riguardo alla Libia e alla Albania poiché i conti della sua malsana propaganda sulla diminuzione degli sbarchi al luglio di quest’anno non tornano rispetto a quelli del 2024 , si scontra con tre questioni decisamente preoccupanti rispetto ai suoi conclamati obiettivi. Innanzi tutto , non tutti i governi si sono dimostrati disponibili alla resa incondizionata , “senza combattere” , come quella imperdonabilmente manifestata dall’ ’Europa. La Cina, disponendo del 90% delle terre rare e di una quota rilevante del debito pubblico americano, ha costretto Trump ad una insolita prudenza diplomatica. Così come Lula ha difeso e difende concretamente la sovranità del Brasile rispetto ai golpismo in stile Bolsonaro e all’accusa di essere tra i promotori dei Brics , non facendosi politicamente intimidire. Allo stesso modo anche il Canada non si è piegato, nonostante la vicinanza geografica, al discorso reazionario e ricattatorio di Trump, che si muove sulla base del piano “ The Project”, elaborato dalla Heritage Foundation con l’intento di ridisegnare autoritariamente i rapporti interni di quella nazione ed esternamente del mondo globale.
In secondo luogo nel 2024 gli interessi sul debito pubblico, pari a 1100 miliardi, hanno superato il valore della spesa militare ( 892 miliardi ), confermando che l’egemonia americana è insidiata da una crisi di carattere sistemico, stante il processo inarrestabile della de-dollarizzazione in corso rispetto al complesso delle riserve globali. Infine, la consistenza del debito pubblico americano, pari al 124% del pil , è da tempo esorbitante, al punto che nella trentunesima indagine svolta dalla banca svizzera Ubs ben il 47% delle banche centrali ritiene possibile una ristrutturazione del debito americano. Una prospettiva di questa natura, dato che il tasso di crescita del pil mondiale è sceso al 2,1% nel quinquennio 2018-2022, in ragione della tendenza alla “stagnazione secolare” dell’economia, e che l’impatto recessivo dei dazi potrebbe ridurre il pil della Ue dello 0,5% e negli Usa dell’1%, può avere degli effetti disastrosi sul piano dei rapporti finanziari, commerciali e naturalmente geopolitici di carattere mondiale. In pratica, diversamente dalla quotidiana propaganda mediatica, quel che si profila è un disfacimento dell’impero a stelle e strisce, o meglio un impero che genera il caos – con conseguenze gravi per la pace nel mondo , stante il primato assoluto del complesso militate-industriale e il reiterato sostegno allo stato terrorista di Israele -, come d’altronde gli studiosi marxisti dell’economia-mondo ( Giovanni Arrighi, Samir Amin, Immanuel Wallerstein, ecc.) avevano lucidamente previsto anzitempo.
Cordiali saluti
Gian Marco Martignoni
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