Grand Tour: attraversare i luoghi per progettare il futuro

Il viaggio come occasione di crescita, consapevolezza e trasformazione, anche degli spazi urbani. Incontro di fine estate con l'architetta Cristina Pallini

Generico 08 Sep 2025

Ci sono incontri che avvengono in punta di piedi, tra un tramonto e un caffè, senza preavviso. Eppure, come certi viaggi, lasciano il segno. L’estate stava finendo quando ho rivisto Cristina, la mia compagna di banco del liceo Einstein, a Milano. Oggi è professoressa al Politecnico di Milano, architetta e autrice di un lungo editoriale che mi ha inviato con la semplicità di chi condivide qualcosa di importante. «L’ho scritto per una rivista scientifica», mi ha detto. Ma dentro c’è molto di più. C’è la nostalgia per un tempo in cui viaggiare era un atto formativo e trasformativo. C’è la speranza che questo spirito possa tornare. E c’è la convinzione che solo attraversando paesaggi, lingue e storie diverse possiamo davvero progettare il futuro.

Generico 08 Sep 2025
Urbino. Visita al Palazzo Ducale. Foto di L. Jākobsone (Latvian Academy of Fine Arts, 12 gennaio 2024).

Cristina parte da lontano, da Montaigne. «Viaggiare mi par essere un utile esercizio. Lo spirito è continuamente costretto a notare cose nuove e sconosciute», scriveva nel 1580. Da lì, un filo rosso collega il Grand Tour dei giovani aristocratici europei all’esperienza degli architetti contemporanei, chiamati a confrontarsi con la diversità per dare forma al costruito. Nel suo saggio, Cristina racconta come il viaggio sia stato per secoli parte fondante della formazione architettonica. Non solo osservazione di edifici, ma immersione nei contesti, raccolta di appunti, schizzi, misure, fotografie. Materiale vivo, da cui nasceranno progetti futuri. «Il Grand Tour, mi dice, non era solo visita ai monumenti, ma esperienza totale. E anche oggi può esserlo, se lo si intende come apertura, ibridazione, confronto.»

L’esempio più emblematico è Le Corbusier. Prima di diventare l’architetto globale, fu un viaggiatore instancabile. In Oriente, nei Balcani, in Italia, colse frammenti di mondo che rielaborò nei suoi progetti. Lontano dal mito dell’artista solitario, Cristina ce lo restituisce come osservatore curioso, attento alle moschee quanto alle civiltà contadine. «Un architetto, spiega, deve interrogare la storia, costringerla a svelare i segreti delle forme.»

Generico 08 Sep 2025
Milano, l’Arco della Pace con il Castello Sforzesco e la Torre detta del
Filarete sullo sfondo. Foto EKA (Estonian Academy of Fine Arts), 14 gennaio 2024

Il progetto europeo UpGranT, di cui è coordinatrice, rilancia questa idea in chiave contemporanea. Studenti e studiosi da Italia, Grecia, Portogallo, Lettonia ed Estonia si muovono tra Milano, Riga, Porto, riscoprendo lo spirito del viaggio formativo. Non più riservato alle élite, ma condiviso, accessibile, collettivo. Cristina racconta degli studenti che hanno attraversato la Facoltà di Architettura progettata da Álvaro Siza a Porto, trattandola come un caso studio. «Un edificio solo può contenere un intero Grand Tour se riesce a evocare molteplici temi di progetto», spiega. È la poetica costruttiva del viaggio, che da esperienza diventa metodo, da ricordo diventa forma.

Generico 08 Sep 2025
Tallinn. Visita alla Linnahall (già Palazzo della Cultura e dello Sport “Lenin”), 1975-1980. Foto LMA (Latvian Academy of Fine Arts), 11 giugno 2024.

Anche il nostro territorio, in passato, ha fatto parte di questo paesaggio di formazione. Henri Beyle, in arte Stendhal, durante i suoi viaggi italiani passò da queste parti, tra Milano e il Lago Maggiore, attraversando le colline varesine. Fu il Sacro Monte di Varese a colpirlo in particolare, con la sua sequenza barocca di cappelle immerse nel verde. In una lettera scrisse: «Nulla è più dolce che camminare tra queste colline lombarde, dove l’anima si riposa e lo sguardo si eleva.» Luoghi come questo, insieme a quelli visitati anche da viaggiatori colti come Lady Morgan, non erano semplici mete turistiche, ma tappe di un viaggio interiore e progettuale. Nel nostro Varesotto, il Grand Tour non era solo fermarsi a guardare, ma camminare, misurare, immaginare. E non è un caso che proprio da qui, tra fine Ottocento e inizio Novecento, con la nascita della ferrovia del Sempione, molti studenti e intellettuali si muovessero tra Milano, Parigi e Lucerna. Era una sorta di Grand Tour “al contrario”, da sud verso nord, verso un’Europa in costruzione. Forse anche Cristina, chissà, avrà percorso quei binari, almeno metaforicamente. Mentre l’overtourism svuota le città trasformandole in scenografie per Instagram, Cristina invita a rallentare. A decodificare, ad ascoltare. Anche solo camminando sull’Appia Antica, come facevano i giovani del Settecento con i loro precettori. Oppure salendo al Sacro Monte di Varese, come facevano Stendhal o Lady Morgan, in cerca di silenzio, ispirazione, prospettiva. Perché, dice Cristina, «senza l’incontro con la varietà, il pensiero rischia di ricadere in un diabolico narcisismo». Le chiedo quale sia oggi il nuovo Grand Tour. Ride. «Forse comincia da Parigi, come diceva Hodgson, o forse da Berlino. Ma soprattutto comincia dal desiderio di imparare. Di uscire da sé. Di vedere cosa cattura il nostro sguardo, come facevano Aalto, Kahn, Asplund.» E mentre parliamo, mi accorgo che questa chiacchierata è già un viaggio. Un attraversamento di tempi, luoghi, idee.

Dal banco del liceo alle città del mondo. Dalle righe di un editoriale alla voglia, ancora intatta, di partire. «Le note, gli schizzi tracciati, le misure prese non siano fini a sé stessi», scrive Cristina citando Nicolin, «ma cessino di essere diario per diventare progetto.» Mi “porto” via questa frase. E con lei, il desiderio di ricominciare.

Generico 08 Sep 2025
Porto. Arrivando alla Facoltà di Architettura dell’Università di Porto di Álvaro Siza, 1986-1996. Foto C. Pallini (Polimi), 5 giugno 2025.

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Pubblicato il 13 Settembre 2025
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