L’ottimismo come competenza e risorsa economica: all’Insubria una lezione per tempi incerti
A Como, economisti, docenti e imprenditori hanno discusso il valore dell’ottimismo come leva strategica per affrontare la complessità contemporanea. Tra economia, organizzazioni e giornalismo, un invito a coltivare fiducia, entusiasmo e gentilezza per costruire futuro
																			
                        
						
						
						
						C’è un filo invisibile che lega economia, giornalismo e vita quotidiana: si chiama ottimismo. Non un’emozione ingenua, ma una competenza, una leva strategica capace di orientare scelte, comportamenti e narrazioni. Di questo si è discusso giovedì 30 ottobre, nell’Aula Magna dell’Università dell’Insubria di Como, durante l’incontro “L’ottimismo è una materia (seria): come il pensiero positivo plasma l’economia e il giornalismo in tempi incerti”, appuntamento della tappa comasca di Festival Glocal.
A moderare l’incontro Enrico Marletta, giornalista de La Provincia di Como, che ha introdotto un dialogo “come in una redazione”, coinvolgendo tre voci di mondi diversi ma convergenti: Luciano Canova, economista della Scuola Enrico Mattei e divulgatore scientifico; Caterina Farao, professoressa di Organizzazione aziendale e Risorse umane all’Università dell’Insubria; e Angelo Porro, presidente della BCC di Cantù.
L’ottimismo come competenza che si può allenare
«L’ottimismo non è un’emozione, ma un approccio alla realtà – ha spiegato Farao –. È una competenza trasversale, una soft skill che può essere allenata, proprio come il coraggio o l’empatia». Viviamo, ha ricordato la docente, in un contesto definito VUCA: volatile, incerto, complesso e ambiguo. «Un ambiente dove la tecnologia e la globalizzazione hanno accelerato i cambiamenti, generando stress e fragilità. L’ottimismo, invece, ci riporta al centro, ci apre al campo delle possibilità e ci aiuta a gestire la complessità con maggiore benessere organizzativo e personale».
L’ottimismo, per Farao, diventa così una vera “metacompetenza”: un modo per tornare alla propria motivazione e al proprio entusiasmo (en-theos, “avere un dio dentro”), ingredienti fondamentali per lavorare meglio e vivere con equilibrio. «Insegno buonsenso e umanesimo manageriale – ha aggiunto – perché l’ottimismo non è negare la difficoltà, ma affrontarla con fiducia e curiosità verso l’altro».
L’ottimismo condizionato e la capacità di agire
Sul piano economico, Luciano Canova ha proposto una distinzione chiave: quella tra ottimismo compiacente e ottimismo condizionato. «Il primo – ha spiegato – è la fiducia cieca che tutto andrà bene; il secondo è la convinzione che possiamo agire con gli strumenti che abbiamo. L’ottimista non è chi ignora i problemi, ma chi riconosce i dati e sceglie di agire nonostante l’incertezza».
Canova ha ricordato come in economia l’ottimismo influenzi direttamente la propensione al consumo e agli investimenti: «In un paese fiducioso le persone spendono, innovano, investono. Dove invece prevale la paura, tutto si blocca». E ha aggiunto un esempio curioso: quello dell’“economia delle virtù”, ispirata al pensiero di Giacinto Dragonetti, contemporaneo di Beccaria, che scriveva Delle virtù e dei premi. «Siamo abituati a punire i comportamenti sbagliati, ma poco a premiare quelli virtuosi. Un errore culturale, perché l’ottimismo nasce anche dal riconoscimento del bene che si fa».
Fiducia e sorriso: la lezione delle banche di comunità
L’esperienza concreta del credito cooperativo è stata portata da Angelo Porro, presidente della BCC di Cantù, che ha ricordato come «la prima merce che si scambia in banca non sono i soldi, ma la fiducia». Porro ha intrecciato storia e vissuto personale, raccontando di come nel 1907 diciannove cittadini di Cantù, con appena diciannove lire, fondarono una cassa rurale. «Erano contadini, sacerdoti, ciabattini. Persone che credevano in un futuro possibile. È così che nasce l’ottimismo concreto: non da un sentimento, ma da un atto di fiducia collettiva».
E con un tono affettuoso e ironico, ha aggiunto: «Essere pessimisti è una gran fregatura. Conviene essere ottimisti, perché sorridere costa niente e apre il mondo. Noi insegniamo ai nostri collaboratori a cominciare ogni giornata con un sorriso: è la prima forma di credito verso gli altri».
Economia dell’ottimismo e cultura dell’errore
Nel dialogo finale, i relatori hanno toccato anche il tema della gestione del fallimento. Per Farao, «l’errore va considerato un’occasione di crescita, non un fallimento personale. In Italia, la paura di sbagliare limita la sperimentazione e quindi l’ottimismo. In altri paesi, chi sbaglia viene incoraggiato a riprovare». Porro ha ricordato un episodio della sua carriera: «Un mio direttore mi lasciò sbagliare apposta per insegnarmi. Aveva ragione lui, ma mi ha dato la libertà di capire. È così che si impara davvero». Canova ha infine richiamato la necessità di una cultura economica più “premiale” e meno punitiva, in grado di valorizzare l’intraprendenza e la fiducia nelle persone e nelle istituzioni.
Ottimismo e informazione: un giornalismo che costruisce fiducia
Nella parte conclusiva del dibattito, il moderatore Marletta ha riportato il tema all’interno del mondo dell’informazione: come si racconta l’ottimismo senza cadere nel “giornalismo delle buone notizie”? «L’ottimismo nel giornalismo – ha osservato Canova – non significa edulcorare la realtà, ma raccontare la complessità dando spazio anche agli strumenti di azione. Non è un problema di contenuti, ma di respiro: una notizia può essere drammatica, ma va collocata in un contesto che aiuti a capire, non solo a temere». Porro ha aggiunto: «Guardare le cose belle che ci circondano non è superficialità, è un modo per ritrovare equilibrio e fiducia. Anche il giornalismo può seminare ottimismo, se racconta la realtà con senso e misura».
L’ottimismo come bene comune
Il dialogo si è chiuso con un richiamo condiviso: l’ottimismo è una materia che si può insegnare, ma soprattutto si può praticare. «Essere ottimisti – ha detto la professoressa Farao – significa aprirsi al possibile, anche quando la realtà è confusa. E la confusione, come l’intreccio di una trama, è il luogo in cui nasce il nuovo».
In tempi di crisi e trasformazioni, l’ottimismo, ha aggiunto Canova, «è una forma di cittadinanza attiva: la scelta di non restare fermi». E per Porro, che ha chiuso con semplicità lombarda: «Conviene essere ottimisti, perché chi guarda e non fa, non sbaglia mai, ma non costruisce nulla. E invece il futuro, prima di accadere, va immaginato».
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