Martelli: “Sovranisti a parole, genuflessi nella realtà. Così l’Italia si perde”
Intervista all'ex delfino di Bettino Craxi. Tra ricordi della Prima Repubblica e analisi del presente, l’ex ministro ha presentato alle Ville Ponti il nuovo libro "il merito, il bisogno e il grande tumulto" e avverte: "L’Italia rischia l’irrilevanza"
Fumava una sigaretta, una di quelle fatte con cartina e tabacco, in piedi sulle scale esterne di Villa Andrea, intirizzito dal freddo, con l’aria di uno capitato lì per caso. Al secondo piano lo aspettavano i delegati della Uil e molti politici per la presentazione del suo nuovo libro. Davanti a lui alcuni giovani parlavano ad alta voce, incuranti della sua presenza, forse perché non lo avevano riconosciuto. Avevano di fronte Claudio Martelli, uno dei politici più influenti della Prima Repubblica, travolta nel 1993 dall’inchiesta “Mani Pulite” della procura di Milano.
Considerato il delfino di Bettino Craxi, Martelli – che oggi ha 83 anni – filosofo di formazione, è stato per ben due volte ministro di Grazia e Giustizia e vicepresidente del consiglio dei ministri. Ha da poco pubblicato per La nave di Teseo “Il merito, il bisogno e il grande tumulto”.
Martelli, oggi si parla tanto di merito, ma lei lo collega anche ai bisogni e alle diseguaglianze. Che cosa ci vorrebbe per rimettere un po’ in equilibrio tutto questo?
«Ci vorrebbe una buona politica che, secondo me, è mancata a lungo e continua a mancare. E questo è un problema molto serio. Nel libro torno su un punto per me fondamentale: merito e bisogno esistono solo se sono riconosciuti, non se ciascuno se li canta e se li suona da solo. Il riconoscimento, che sia sociale, scientifico, culturale, viene dagli altri, non da noi stessi. E serve un potere pubblico capace di distinguere ciò che è autentico da ciò che è effimero. E poi non dobbiamo dimenticare che, come diceva Nenni, “il socialismo è portare avanti chi resta indietro”. Non vorrei mai una società tutta meritocratica che ignora chi vive nel bisogno. Il merito senza equità diventa crudeltà».
Lei ha fatto parte della Prima Repubblica. Che cosa la distingue dall’attuale politica?
«La Prima Repubblica aveva tanti difetti, ma non così gravi come quelli di oggi. Avevamo chiaro un obiettivo: modernizzare il Paese e renderlo più giusto. Oggi, al contrario, vedo spesso quella che nel libro chiamo una forma di “ignorantamento”: la perdita del valore della cultura come trasformazione di sé. La cultura non è una somma di nozioni, ma ciò che resta attaccato a noi quando abbiamo dimenticato tutto il resto. E invece la scuola è degradata, si leggono pochi libri, i social disinformano più di quanto informino, e la politica vive di slogan e semplificazioni. Questo indebolisce la qualità della democrazia».
In che modo voi socialisti avete reso il Paese più giusto?
«Affrontando il toro per le corna. Il grande problema era l’inflazione, la più ingiusta delle tasse. Quando Craxi arrivò al governo era oltre il 16%, quattro anni dopo era al 4%. E l’Italia cresceva, cresceva molto più di adesso. Oggi il Paese è in stagnazione da vent’anni, e questo rende tutto più difficile. Abbiamo persino ricevuto oltre 200 miliardi dall’Europa: senza quei fondi saremmo in una recessione spaventosa. E nel frattempo si allargano altri problemi: una crisi demografica drammatica, nascono 350.000 bambini l’anno, un terzo in meno delle previsioni, e ogni anno se ne vanno più di 100.000 giovani qualificati. Io mi domando come facciano a dormire tranquilli al governo e anche all’opposizione di fronte a questi numeri. Il compito della politica è creare le condizioni perché le persone possano vivere, lavorare, fare figli. Non si può lasciare tutto alle forze di mercato».
Perché oggi l’Italia non cresce come altri Paesi dell’Unione Europea?
«Per anni l’euro forte e l’energia a basso costo hanno sostenuto il nostro export. Ma riguarda un nucleo ristretto di imprese eccellenti. Il resto del Paese si è impoverito di opportunità. E mentre gli altri governi europei investivano in natalità, case a prezzi accessibili, formazione, noi producevamo leggi su leggi, ne abbiamo 250.000, un record mondiale, senza occuparci dei problemi reali: casa, salari, occupazione giovanile, produttività. Si parla molto di merito, ma non ci si chiede quali bisogni restano scoperti, dove e quanti. Ci sono 5–6 milioni di famiglie in povertà. Eppure si discute sempre del merito, quasi mai del bisogno».
Oggi domina il sovranismo. È davvero tale?
«Quando Craxi difese gli interessi italiani anche nei confronti degli americani perché c’era senso dello Stato. Oggi si sventola la bandiera della sovranità, ma nella realtà vedo atteggiamenti molto più genuflessi verso gli Usa. E vedo una politica che parla continuamente di identità, ma non si occupa della cultura come coltivazione di sé, né del degrado dell’informazione, né della scuola. Senza una cultura diffusa, la sovranità è una parola vuota».
Questo libro non è un Amarcord ma si rivolge alle future generazioni. Che cosa dice ai giovani d’oggi?
«Dico una cosa semplice e terribile al contempo: si fa troppo poco per i giovani. Serve una scuola più efficiente e più giusta, servono case accessibili, servono condizioni per mettere radici qui. Oggi la maggioranza dei giovani non trova un lavoro dignitoso, e nelle grandi città non può permettersi né di affittare né di comprare una casa. È una situazione che scoraggia perfino la formazione di una famiglia. A Milano la maggioranza dei nuclei è ormai composta da una sola persona. Se non si governa il cambiamento, questo era il titolo della mia conferenza di Rimini quarant’anni fa, il Paese si spegne. E infatti si spegne:. Le nascite in crollo, giovani che emigrano, anziani che aumentano. Mi chiedo: se io che non ho più responsabilità di governo mi sveglio la notte preoccupato, come fanno a dormire tranquilli chi ci governa e chi dovrebbe governare domani? Il mio libro è un invito: tornare alla politica democratica, quella vera, che parte dalla realtà».
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Durante l’epoca Craxi e le successive della prima Repubbblica il rapporto debito/PIL passò da circa 60-69% nel 1983 a 84-88% nel 1987, quindi un incremento di circa 20 punti percentuali in pochi anni.
Ora stiamo pagando le conseguenze del vostro, cito come da articolo “affrontare il toro per le corna”, aggravato dall’ingresso nell’Eurozona…o sarebbe meglio chiamarla nella Eurodittatura.