Storia, crisi e rinascita di Monteviasco, il paese più isolato di Lombardia
Le castagne, le capre, i tedeschi, la funivia: tra fotografie d'epoca e racconti d'altri tempi, un ritratto del piccolo borgo che da un secolo lotta contro lo spopolamento. E che ora vive, paradossalmente, anche uno strano rapporto con il turismo
Monteviasco, un “gioiello” incastonato tra le valli del Varesotto, possiede una storia le cui origini si perdono tra leggenda e documentazione. Una storia affascinante, raccontata a Materia Spazio Libero dagli Amici di Monteviasco – associazione costituita – anche attraverso foto d’epoca raccolte per risalire alle origini contadine di questo borgo che ancora oggi è abitato, nonostante il suo isolamento (uno dei pochi paesi abitati stabilmente non raggiunti da una strada carrozzabile).
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Sebbene alcuni documenti del Seicento ne attestino l’esistenza, una popolare leggenda – «mai troppo amata» – narra che il paese fu fondato da quattro briganti o disertori – Dellea, Cassina, Morandi e Aranzoni – che conquistarono il cuore (o rapirono?) quattro ragazze dal paese vicino. Nonostante questa leggenda, il cognome Dellea rimane tipico di Monteviasco.
Il borgo conobbe il suo periodo di massimo splendore all’inizio del Novecento, quando contava circa 450 abitanti. La vita era basata sulla sussistenza: «Più che altro vivevano di un po’ di pastorizia, avevano avevano gli animali, c’erano le coltivazioni, ognuno aveva il suo orticello» ha raccontato Renzo Dellea, intervistato insieme agli altri ospiti da Ferdinando Giaquinto, il biliotecario di Materia Spazio Libero. «Poi c’erano le castagne, le noci. Solo di quello vivevano a Monteviasco». Chi non lavorava la terra o faceva il pastore o boscaiolo era costretto a scendere a valle per cercarsi un impiego, tanto che gli abitanti di Monteviasco erano rinomati come cuochi, impiegati nei grandi alberghi delle più celebri località del Lago Maggiore come Stresa e Arona.
La vita era dura, con un’economia pesante e faticosa, ma la comunità era viva. I bambini (fino a 25-28) frequentavano una scuola elementare unica con cinque classi, portando al mattino il proprio pezzo di legna per la stufa.
Nella Seconda Guerra Mondiale i tedeschi cercarono di imporre lo sfollamento del villaggio, così isolato e vicino al confine con la Svizzera che poteva rappresentare una tappa di passaggio per disertori e oppositori: Dellea ha raccontato la mediazione del parroco che evitò il totale spopolamento, che riguardò solo la parte “alta” del paese. Il santuario, nella parte bassa, accolse una parte degli abitanti scacciati dai nazisti. In quel periodo non mancava il contrabbando, soprattutto – contrariamente a quanto si poteva pensare – dall’Italia verso la Svizzera: (anche) da qui passava il riso che dalla pianura lombardo-piemontese andava sulle tavole della Confederazione.

Tra i racconti passati dalle foto, c’è anche un misterioso ‘immigrato’ comparso nel Dopoguerra, che visse a lungo a Monteviasco grazie alla solidarietà del prete e della popolazione (una fotografia lo ritrae con una povera scodella in mano).
Iniziato già nei primi del Novecento – compreso il drammatico tributo di sangue nella Grande Guerra, lo spopolamento è divenuto più veloce specialmente dagli anni Sessanta.

Il dramma, l’isolamento e la solidarietà
A garantire la sopravvivenza in epoca contemporanea è arrivata, nel 1988, la funivia, infrastruttura fondamentale che consentiva anche alle famiglie con bambini di continuare a vivere nel borgo. «Anche se qualcuno che diceva che non serviva».
Il paese ha recentemente affrontato un periodo di grave isolamento a seguito del drammatico incidente mortale avvenuto nell’impianto della funivia. Dopo l’incidente, la sua chiusura si è protratta per ben sette anni. «In quel periodo era successo un incidente in Trentino, lì dopo tre mesi si era già ripristinato, qui sono passati sette anni. Sette anni per la burocrazia».
Durante questo periodo, gli abitanti rimasti (solo 7-8 residenti permanenti, attualmente), molti dei quali anziani, hanno ricevuto un aiuto “enorme” e “eccezionale” dai Carabinieri di Luino. Questi – in particolare il maresciallo Paolocci – facevano la spola ogni due giorni salendo a piedi con zaini pesanti carichi di cibo e medicine, verificando le condizioni degli abitanti. Inoltre, due giovani hanno tenuto aperto il vecchio circolo (bar/ristorante) con grandi sacrifici per garantire un punto di ritrovo.
La rinascita e le sfide del turismo
L’apertura della funivia ha permesso ai vecchi abitanti di risalire per sistemare le case paterne, spesso danneggiate sui tetti per le infiltrazioni dell’acqua e il peso della neve.
Oggi il Gruppo Amici di Monteviasco lavora per mantenere vive le tradizioni e le manifestazioni (come le feste religiose, Carnevale e San Martino). Questa associazione, assieme ad altre come Borgo e Natura, gestisce le attività e utilizza i ricavati per finanziare lavori di restauro.
Il paese è considerato un luogo incantevole e tranquillo, specialmente durante la settimana, dove si può godere di un «silenzio che è una cosa memorabile». Tuttavia, l’aumento del turismo dopo la riapertura della funivia ha portato anche problemi legati alla mancanza di rispetto e all’inciviltà: pare incredibile, ma si potrebbe dire che anche Monteviasco soffre dell’overtourism come le città turistiche o la Costiera Amalfitana. È fondamentale, per preservare il borgo, ricordare che «devi rispettare sempre le persone e le cose degli altri, soprattutto in questi paesi se vogliamo mantenerli».
Per chi desidera fermarsi, Monteviasco offre la possibilità di alloggio presso un rifugio chiamato «la foresteria del campanile» con circa otto posti letto.
Prossima occasione speciale per andarci: il concerto del Chorus Insubriae il sabato 6 dicembre alle 11.30.
L’ostello di Monteviasco rinasce come Foresteria al Campanile
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