Una storia che non passa: il ’70, le lotte carcerarie e le domande dell’oggi
A Materia il regista Tomaso Aramini e Pasquale Abatangelo hanno dialogato con il pubblico dopo la proiezione di Pensando ad Anna, nella serata inaugurale della rassegna Un posto nel mondo promossa da Filmstudio 90 con 100venti e Oblò Teatro
Dietro ogni muro c’è una storia, e alcune continuano a bussare. Mercoledì 19 novembre, a Materia Spazio Libero, ha preso il via la nuova edizione di Un posto nel mondo con la proiezione di Pensando ad Anna, il documentario di Tomaso Aramini che riporta al centro il tema carcerario attraverso le lotte degli anni ’70 e la vicenda personale di Pasquale Abatangelo.
L’incontro, moderato dal vicedirettore di VareseNews Michele Mancino, ha aperto il percorso della rassegna introdotta da Giulio Rossini per Filmstudio 90, che da ventiquattro anni porta sul territorio cinema e testimonianze dedicate ai grandi temi sociali. A collegare il lavoro filmico al presente è invece stato Paolo Cassani, che ha presentato il progetto dedicato all’area carceraria sviluppato dalle associazioni 100venti e Oblò Teatro, impegnate nel dare continuità a un ragionamento sulle condizioni di vita dentro e fuori le mura penitenziarie.
Il film come specchio di un’epoca
La proiezione di Pensando ad Anna ha aperto un confronto fitto tra pubblico e ospiti. Aramini ha spiegato come il film nasca dal desiderio di raccontare gli anni ’70 da una prospettiva spesso ignorata: quella del carcere, luogo che all’epoca rifletteva in modo diretto le tensioni politiche e sociali del Paese. Il regista ha sottolineato la scelta di un linguaggio filmico non convenzionale, un approccio “performativo” che sostituisce il didascalico con l’immersione, permettendo allo spettatore di entrare in un dialogo quasi fisico con il protagonista.
La testimonianza di Abatangelo
La voce di Abatangelo – in collegamento come Aramini – ha portato l’esperienza di chi quegli anni li ha vissuti dietro le sbarre, ricordando come la realtà carceraria fosse, in molti aspetti, persino più dura di quella rappresentata nel documentario. Ha richiamato episodi, dinamiche interne e il clima esplosivo delle carceri italiane degli anni ’70, rivendicando la necessità di raccontare “la storia dei vinti”: di chi ha pagato con decenni di detenzione vicende che la società continua faticosamente a guardare in faccia. Abatangelo ha poi tracciato un parallelo con il presente, denunciando l’aggravarsi del sovraffollamento e la scarsa attenzione politica e mediatica verso il tema carcerario. «Le condizioni di oggi sono peggiori», ha detto, spiegando come il numero dei detenuti sia raddoppiato rispetto al passato mentre le strutture restano pressoché invariate.
Le resistenze intorno al film
Aramini ha ricordato come Pensando ad Anna abbia incontrato ostacoli nella sua diffusione, tra resistenze, proiezioni annullate e forme di “censura di mercato” che colpiscono spesso il documentario indipendente. Nonostante ciò, il film ha raccolto un forte interesse del pubblico, ottenendo premi e sale piene, segno di un bisogno reale di interrogarsi su quella stagione storica.
La rimozione degli anni ’70 e il diritto alla discussione
Nel dibattito emerso dal pubblico è apparso evidente quanto la memoria degli anni ’70 rimanga un terreno complesso. Abatangelo ha denunciato la difficoltà, ancora oggi, di esprimere una lettura non conforme di quel periodo, nonostante le pene scontate e la piena reintegrazione nella società. Aramini ha ribadito che un Paese democratico ha il dovere di affrontare con rigore e lucidità anche le sue pagine più scomode, senza censure né scorciatoie semplificatorie.
La proiezione di Pensando ad Anna si è così trasformata in un’occasione di dialogo civile su memoria, carcere, giustizia e società. Una serata che ha mostrato come cinema, testimonianze e partecipazione possano ancora generare pensiero collettivo e aprire discussioni rimosse, restituendo complessità a una storia che continua a interrogarci.
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