Luis Scola ospite a Torino per le ATP Finals: “Varese il posto perfetto per il mio progetto di basket”
Nel corso di una intervista pubblica condotta da Piero Guerrini, "El General" ha parlato della sua concezione del basket, del sistema di gioco applicato dalla Openjobmetis e dei più grandi avversari della sua carriera
Anche la Pallacanestro Varese ha fatto capolino nelle manifestazioni legate alle ATP Finals, il prestigioso torneo di tennis con i migliori otto giocatori al mondo (tra cui l’italiano Jannik Sinner) in corso di svolgimento a Torino. Ieri – lunedì 13 novembre – in piazza Castello, il CEO biancorosso Luis Scola è stato protagonista di un talk show nell’ambito di “It’s a Match” nel quale è stato intervistato da Piero Guerrini, responsabile delle pagine di basket su Tuttosport.
Scola ha raccontato ai presenti i suoi inizi da giocatore («Mio papà era un cestista, alto due metri e volevo emularlo») ma ha anche riservato una serie di risposte legate al suo incarico attuale, quello di proprietario e massimo dirigente operativo di un club di Serie A. E di Varese in particolare.
«Per me e per la mia famiglia, trovare un posto come Varese è stato importante. Dopo il Covid abbiamo pensato di restare per un po’ in Italia, sono andato a Varese a giocare e a tutti piaceva restare: così è anche arrivata l’opportunità di fare qualcosa. Io pensavo a un progetto nel mondo della pallacanestro e per ma la sfida era “come posso continuare ad avere un impatto sul basket non da giocatore?”. Varese era il posto perfetto: era un po’ in difficoltà ma aveva la storia, la società, gli impianti, i tifosi: queste cose o le hai o non le hai e in città ci sono e facevano della città un posto ideale per quello che avevo in mente».
Il discorso è quindi proseguito sul sistema di gioco e di scelte alla base dell’attuale gestione della Openjobmetis. «Noi abbiamo un budget ridotto rispetto a molte altre, quindi se facciamo le stesse cose diventa una sfida a chi ha più soldi e noi perdiamo sempre. Per chiudere o ridurre il gap ci sono due o tre aree che gli altri esplorano meno perché hanno più denaro da spendere: per noi sono l’analisi dei dati statistici e lo sviluppo dei giocatori. Dobbiamo cercare atleti che costano poco e farli diventare giocatori che valgono il doppio: se non hai soldi per comprare il talento, lo devi sviluppare. Attenzione: sviluppare i giocatori non vuol dire rinunciare a vincere le partite: se i ragazzi stanno in campo meglio, la squadra incrementa le possibilità di ottenere risultati. Noi crediamo che le due cose possano andare di pari passo, infatti l’anno scorso abbiamo vinto 17 partite su 30 e saremmo stati quarti con Venezia e Sassari senza la penalizzazione».

Parlando del Moneyball, il sistema di gioco basato proprio sull’analisi profonda dei dati, Scola spiega: «Billy Beane, il fondatore di questo sistema, era compagno di stanza di Daryl Morey che ha mutuato questa cosa per il basket. Daryl non ha ancora vinto un campionato a differenza di Billy ma è questione di tempo perché ha “visto” cose molto prima degli altri. Noi in Europa su questo aspetto siamo ancora indietro: per questo a Varese proviamo a importare quello che fa la NBA, pur in relazione alle grandi differenze di denaro da investire. Io credo però che si possano fare tante cose che non c’entrano con i soldi e si possono replicare anche con un budget normale come il nostro. Non possiamo inventare cose che nessuno ha mai fatto nel mondo ma possiamo trovare idee da copiare e sviluppare per quello che ci serve».
Parlando della difficoltà nel creare le squadre in Europa, Scola spiega: «Il mercato oggi è molto più complesso: i giocatori di G-League non vengono più qui perché aspettano una chiamata NBA. Noi possiamo prendere quegli uomini che in G-League sono giocatori di ruolo ma da noi possono diventare protagonisti. I big di Eurolega sono giocatori che per qualche ragione non sono, o non sono rimasti in NBA ma se potessero ci andrebbero. Attenzione: la pallacanestro europea non è scarsa e mi piace, ma non può essere paragonata alla NBA perché loro sono più bravi a ogni livello. Certo, a livello personale si può preferire il basket di Eurolega ma non c’è dubbio che il livello della NBA resti nettamente superiore».
Ripensando al passato, “El General” racconta quali sono stati gli avversari più difficili da affrontare. «Il primo nome che mi viene in mente è quello di Dirk Nowitzki, ma poi ovviamente anche quello di Tim Duncan. Poi Giannis (Antetokounmpo ndr) che ho affrontato alla fine della mia carriera: lui era agli inizi, disputò una partita eccellente eppure secondo me commise diversi errori. Pensai che se avesse sistemato alcune cose sarebbe diventato devastante e così è stato. E mi resi conto che io non ero più a quel livello».
E poi, imbeccato da Guerrini, ha parlato del suo rapporto viscerale con la sua Nazionale. «La maglia albiceleste mi ha accompagnato per quasi trent’anni: ho sempre rispettato e onorato le maglie di club in cui ho giocato ma il rapporto con l’Argentina è stato unico. Io ho iniziato da giovanissimo in un’occasione in cui tanti avevano rinunciato alla convocazione: senza quelle defezioni avrei cominciato dopo. L‘Argentina negli sport di squadra è sempre competitiva anche se è difficile capire esattamente il perché al di là del forte amore per i nostri colori. Forse lo sport di squadra permette a un Paese che non è così sviluppato a livello sportivo, di fare crescere gli atleti nelle strutture delle nazioni dove loro giocano. Negli sport individuali è molto più difficile che questo avvenga».
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