Nei terreni dei mafiosi, dove si coltiva per resistere
Viaggio nelle cooperative di Libera, a Palermo e Trapani, nate dai beni confiscati alla criminalità. Un giornalista e 9 cooperatori, insieme per raccontare che cosa sta succedendo dove un tempo c'erano le basi dei boss
Il contro alla rovescia è cominciato. Lunedì 27 agosto parte un’iniziativa speciale che vi racconteremo, per una settimana, con un blog su Varesenews. Si chiama “estate liberi”, ed è un campo di lavoro nelle aziende agricole in provincia di Palermo e Trapani, gestite dalle cooperative di Libera e Libera Terra. Che, grazie alle leggi sulla confisca dei beni alle organizzazioni criminali, stanno cercando di trasformare quei terreni confiscati, in aziende che diano lavoro e siano presìdi di legalità.
Si produce olio, pasta, vini e tanto altro. Non è facile. Tra i signori a cui sono stati sottratti i beni ci sono nomi del calibro di Bernardo Provenzano e Matteo Messina Denaro. Si rischia quando si fa un’impresa del genere, ma è proprio questo il punto. La legalità, al sud, sta germogliando. Ovunque nascono iniziative concrete: il mito dei centopassi, il messaggio di don Luigi Ciotti, l’esempio di Falcone e Borsellino, o del sindacalista che per primo combatté i corleonesi, Placido Rizzotto, o ancora il politico Pio La Torre ammazzato proprio perché voleva le legge di confisca dei beni mafiosi (scopo poi raggiunto dall’associazione Libera, che raccolse un milione di firme al fine di presentare una proposta di legge, che si concretizzò poi nella legge 109/96).
Le cooperative e i negozi che visiteremo portano proprio questi nomi. Sono a San Giuseppe Jato, Corleone, Palermo, Partanna. In tutta Italia esistono beni confiscati alle mafie. A Varese un appartamento diventerà una casa per minori a rischio. Ma farlo in Sicilia, come dire, vale doppio.
La proposta di aggregarci a questa iniziativa e di raccontarla ci è arrivata da Alfredo De Bellis, il responsabile del settore soci di Coop Lombardia, che ha promosso in particolare questo viaggio e che distribuisce molti di questi prodotti (nove dei dieci partecipanti al campo sono dipendenti e soci della Coop e c’è un progetto dedicato a questo tema che si chiama "Coltivare responsabilità"). Noi abbiamo abbiamo accettato e ora abbiamo lo zaino pronto. Ci vorranno guanti da lavoro, taccuino, il computer e la macchina fotografica per aggiornarvi, e la curiosità di saperne di più. Ma in fondo già sappiamo tantissimo.
Don Luigi Ciotti e l’associazione Libera sono realtà radicatissime anche in Lombardia. Uno dei nostri interlocutori sarà poi il giornalista Pino Maniaci di Telejato che già nel 2011 fu a Busto Arsizio quando le scuole della città organizzarono una marcia di mille studenti contro la mafia insieme all’associazione “Ammazzateci tutti”.
C’è un fermento interessante che vorremmo vedere da vicino. “Libera” in questi anni ha aperto basi scout, ospitato oratori, parrocchie, associazioni culturali. Chi c’è stato è tornato entusiasta. Un amico capo scout di Varese (casualmente è anche un poliziotto, ottimo investigatore) ci ha raccontato che in alcune realtà italiane la strada organizzativa è ancora lunga. Il messaggio interessante è però che per ogni morto ammazzato ingiustamente sta nascendo una memoria condivisa.
Noi, ad esempio, incontreremo il nipote di Placido Rizzotto a cui è stato officiato di recente il funerale di stato, o ancora i sopravvissuti della strage di Portella della Ginestra. Ma anche la storia di Rita Atria, la ragazza che si suicidò dopo la morte del giudice Borsellino: aveva fornito notizie sulla sua famiglia mafiosa da cui era stata poi ripudiata. Per anni neanche il nome sulla tomba volevano metterle. Oggi sta nascendo una cooperativa per produrre olive, a Nocellara del Belice, in un fondo di Matteo Messina Denaro, l’ultimo capo dei capi. L’hanno incendiato a giugno. “Non ci fermeremo” gli hanno risposto i volontari.
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