Lino Oldrini, il sindaco che guardava avanti
Deceduto ancora in carica, preparò il terreno per chi gli sarebbe succeduto. Dopo la morte, nei cassetti della sua scrivania c’erano appunti per molte iniziative e lavori, come per il progetto di un palasport

Chiamato nell’ottobre del 1963 da Mario Lodi, direttore della “Prealpina”, come nuovo cittadino di Varese ebbi l’avvocato Lino Oldrini mio primo sindaco. Non lo avvicinai subito per via degli incarichi che avevo avuto al giornale e perché purtroppo Lino Oldrini stava già affrontando una difficile situazione di salute. Il nostro però non sarebbe stato il primo incontro: ci eravamo già conosciuti nelll’ aula della corte d’assise di Como, dove il sindaco era il legale di punta dei difensori di una squadra di varesini, imputati di rapina, perché come contrabbandieri in divisa di finanzieri, a Fino Mornasco, a un falso posto di blocco perfettamente organizzato, avevano sequestrato un carico di oro ad alcuni loro “concorrenti” comaschi. (sopra una foto della redazione della Prealpina negli anni Sessanta)
A Como a quel tempo c’era un grande sindaco, Lino Gelpi che con Oldrini aveva in comune il nome e la professione. La coincidenza fu la chiave di una simpatica conversazione che ebbi con Oldrini in una pausa del processo e al termine della quale ci salutammo con il proposito di rivederci. Arrivato a Varese di certo non mi meravigliai quando seppi delle qualità di sindaco di Lino Oldrini, della sua capacità di essere veramente utile alla città che era in piena ascesa industriale e commerciale. Mi colpirono di lui testimonianze in particolare del suo impegno per un rispetto pieno del mandato ricevuto da elettori che dal 1956 gli davano fiducia e anche la stima di oppositori di notevole capacità. La città faceva suo il fervore nazionale di una crescita del mondo del lavoro, ne viveva i giorni con partecipazione ed entusiasmo e gettava i semi di uno sviluppo generale, di un benessere che l’avrebbero portata lontano, senza stravolgere una identità precisa, rassicurante, costruita nel tempo.
Lino Oldrini seppe accompagnarla nell’avvio a uno storico boom economico con prudenza, senza stravolgerla, senza più calpestare il passato come era accaduto a Varese e in tante altre città italiane per la fretta di correre, di cavalcare il momento economico molto favorevole. Oldrini fu attento alle esigenze degli imprenditori e seppe raccogliere simpatie per la causa cittadina, simpatie che si tradussero in una importantissima attenzione al sistema sanitario, in particolare all’ospedale che vide la costruzione di un padiglione per la cura degli anziani. Fu vera avanguardia, oggi, assieme alla clinica S. Maria il padiglione Cattaneo viene abbattuto a conferma delle errate scelte urbanistiche di fine secolo che non spostarono i due ospedali cittadini in periferia e a conferma pure che i geni della sanità lombarda quando intervengono a Varese lo fanno con assoluto disprezzo dei soldi spesi dalla nostra comunità per un servizio pubblico.
Era una splendida realtà nel 1963 la Varese dei miei nonni paterni: trovai infatti una città serena, tranquilla, rispettosa delle sue bellezze ambientali e del decoro urbano; era trattata dagli abitanti come se fosse la loro casa ed era sconosciuto il degrado che ci sarebbe stato in anni che allora sembravano di un futuro lontano, che ci avrebbe riservato bivacchi, sporcizia, un centro urbano quasi maltrattato e periferie dalle strade scassate. In quegli anni era impensabile la situazione attuale, i cittadini non l’avrebbero tollerata. Le varie attività lavorative di Varese e del suo territorio vedevano il massimo impegno di tutti, la comunità seguiva anche con attenzione e in parte con diretta partecipazione anche la crescita di attività culturali e soprattutto sportive che non solo sarebbero diventate eccellenza o addirittura da primato, ma avrebbero anche diffuso un vivo interesse nella comunità per l’attività sportiva: fu possibile vedere moltissimi giovani impegnarsi nella pratica di diversi sport .
In questa attività di promozione della città Oldrini mosse passi importanti, dissodò il terreno per chi gli sarebbe succeduto. Dopo la morte, nei cassetti della sua scrivania c’erano appunti per molte iniziative e lavori, come per il progetto di un palasport. Varese con Oldrini aveva chiuso un decennio nel corso del quale dai furori a volte anche positivi della ricostruzione e di una modernizzazione non meditata si era ritornati a un solido progetto di sviluppo che avrebbe avuto Ossola come protagonista.
In città non mancavano infatti necessità, aspirazioni, rimpianti per la chiusura della funicolare e mentre non pochi mugugnavano per un evidente disordine edilizio moltissimi cittadini era moltp arrabbiati per l’abbattimento del teatro Sociale, in passato vero gioiello, una microScala,che non era stato ricostruito.Erano invece già obiettivi nel mirino di Palazzo Estense appunto il palasport e una piscina coperta. Lo stadio di Masnago, dedicato a Franco Ossola, con Oldrini aveva avuto i primi adeguamenti per le esigenze del calcio professionistico grazie a un Varese Calcio alle porte della serie A; il palasport sarebbe stato realizzato al momento giusto e in tempi accettabili: si era nel 1964 e fu opportunamente dedicato alla memoria del sindaco Oldrini.
Ci sarebbero state poi in città anche polemiche perché i trasporti urbani sarebbero finiti sotto l’egida municipale, ma già allora. una volta chiusi uffici, fabbriche, scuole , gli autobus erano davvero snobbati. Il traffico non era ancora assillante, di inquinamento si sarebbe discusso, e molto, solo per il lago.
La traversata notturna di Varese riservava addirittura momenti di serenità, di relax, la sicurezza non era un problema. Dopo l’arrivo di emigranti veneti a seguito dell’alluvione del Polesine, lo sviluppo delle attività lavorative già alla fine degli Anni 50 aveva incrementato l’afflusso dal Sud: la Varese del fare accoglieva bene chi si impegnava, ci sarebbero stati accenni di vero razzismo solo una trentina d’anni dopo con slogan incredibili, tipo via i meridionali dalle case popolari, via altri terun come i magistrati; e vennero pure cacciati dal Premio Chiara scrittori come Michele Prisco e Raffaele Nigro.
Ricordando la città del mio primo sindaco bosino, devo sottolineare il rigore di chi amministrava: era esemplare e accadde addirittura che , anche dopo avere ottenuto l’autorizzazione ministeriale, non venisse realizzata una bretella che avrebbe collegato viale Borri a viale Belforte. Fu un errore e non piccolo, ma si rinunciò al progetto perché il costo dei lavori avrebbe portato in rosso il bilancio comunale quando agli elettori era stato promesso il pareggio annuale dei conti.
Furono anni in cui impegno, stile, orgoglio e partecipazione di amministratori di più giunte e l’adesione degli amministrati indussero grandi imprenditori a credere nel servizio della mano pubblica varesina ai cittadini. Si sarebbero ulteriormente sviluppati interventi e donazioni che negli ambiti scientifici, sanitari e sportivi avrebbero contribuito nel giro di pochi anni a portare in alto Varese, meglio rappresentata in diverse istituzioni più da suoi eccellenti cittadini che da politici. La città ragione così il quarto posto nella classifica delle migliori città italiane.
Oggi non pochi dei traguardi e dei successi sono stati snobbati o addirittura calpestati al punto che a volte affiora la sensazione di un flop dell’istituzione regionale, rivelatasi ben più invasiva se non oppressiva di quando il potere era a Roma Milano ancora oggi non chiede, impone e lo fa a volte contro i nostri interessi più che legittimi, ignorando inoltre i motivi di un passato vincente, imponendo regole che possono valere altrove ma indigeribili per la nostra comunità. Ricorderemo sindaci che sono stati grandi non solo per notevoli capacità, individuali, ma anche perché era notevole la distanza della loro autonomia da un potere politico meno capriccioso e più preparato di quello odierno.
Oggi sindaci e giunte sono condizionati a volte pesantemente dai partiti che non rapportano le loro decisioni alle reali situazioni locali ma ad altre di altri territori, a un quadro generale che suscita dubbi sulla perfezione politica e gestionale di una Lombardia vantata da personaggi che ci hanno trattati come terra di frontiera del loro impero.
La città uscita da una prima esperienza giudicata negativa (eppure Luigi Cova fu una bravissima persona dal grande cuore di vecchio socialista) sempre volle poi primi cittadini di successo nella professione e di ottima cultura. Dall’Ora, Oldrini e Ossola furono tali, ma con Gibilisco e Fassa, giovani esordienti, la città prima della fine del ‘900 fu comunque tutelata e visse anzi bene due nuove e ben diverse stagioni della sua avventura civica.
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