“Eri morto Michele!”. Ma lui oggi ha spento 100 candeline

Gli Alpini e l'Amministrazione comunale hanno organizzato una festa per i 100 anni di Michele Buzzi, un Alpino con una vita piena di colpi di scena

Porto Ceresio: 100 anni Michele Buzzi

Festa grande oggi pomeriggio a Porto Ceresio per i 100 anni dell’Alpino Michele Buzzi, che ha ricevuto gli auguri di tantissimi amici e dell’Amministrazione comunale.

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Porto Ceresio: i 100 anni dell’Alpino Michele Buzzi 4 di 11

Siamo andati a trovarlo e ad intervistarlo qualche giorno fa.

In gran forma e ancora in grado di vivere da solo, Michele ha avuto una vita a tratti incredibile, segnata da un destino capriccioso ma, alla fine, benevolo, che gli ha permesso di arrivare a contare 100 candeline ancora lucido, autosufficiente e in buona salute, pur con qualche inevitabile acciacco.

Nato il 9 novembre 1917 nella frazione di Cà del Monte, Michele Buzzi ha sempre abitato a Porto Ceresio, ma la vita lo ha portato, suo malgrado, in giro per il mondo, trascinato dal vento della grande Storia.

«Avevo 21 anni quando sono andato a soldato, nel IV Reggimento Alpini – racconta – Quando mancavano pochi giorni al congedo e già pregustavo il ritorno a casa, sono arrivati i tedeschi che ci hanno mandati in Jugoslavia a combattere. Dopo varie peripezie mi sono ritrovato in un campo di concentramento a Münsingen in Germania, come internato militare, un posto tremendo, dove ammazzavano ebrei e italiani».

La fortuna è una tradotta

La sorte offre una chance al giovane Michele e lui la coglie al volo: «Un giorno i tedeschi chiesero a noi internati militari italiani se eravamo disposti a tornare in Italia a patto di combattere con loro e in molti abbiamo detto di sì, pur di tornare in patria. Arrivati a Bergamo, la tradotta che doveva portarci ad Aosta si è fermata per un guasto e io e un mio amico ci siamo nascosti e, pur con una paura tremenda, siamo riusciti a prendere un treno per Milano».

Arrivato con mezzi di fortuna fino a Porto Ceresio,  Michele viene travestito da boscaiolo e, nascosto in un capanno nel bosco a pochi passi dalla rete che segnava il confine, aspetta il momento buono per passare in Svizzera. Ci riesce, ma pagherà la sua salvezza con lunghi mesi in un campo di internamento nel Canton Zurigo.

Finita la guerra, Michele torna in Italia. Sono passati 8 anni tra fronte e campi di prigionia, ora ne ha 29 ed è tempo di trovare un lavoro e sposarsi.

La moglie la trova subito, ma il lavoro da elettricista, imparato a militare, quello no, e così si adatta a fare il muratore in Svizzera. Un lavoro che gli permetterà di costruirsi, da solo, la casa dove abita ancora oggi.

Eri morto Michele!

E qui la sorte decide di fargli un altro sgambetto: «Una sera – racconta – mentre tornavo a casa con la moto sono svenuto e mi sono schiantato sul muro della caserma della Finanza, spaccandomi la testa in due. Erano sicuri che fossi morto, ma per scrupolo hanno chiamato il medico e mi hanno portato all’ospedale. Ancora oggi c’è un dottore che quando mi incontra mi dice “Eri morto Michele!”. Ma sono fortunato e sono ancora qua».

Si potrebbe restare giorni ad ascoltare le storie di questa roccia d’uomo, storie belle come quando racconta della sua Lina, la prima moglie, con cui gestiva il dopolavoro con il campo di bocce, e storie brutte, come quando una delle sue figlie, a 18 mesi, cadde nel pozzo nero a Cà del Monte e, anche lei, venne data per morta, per poi morire, davvero, a soli 23 anni per un malore.

Ma non c’è più tempo per i ricordi: a casa di Michele è tempo di festeggiare insieme a Luigi, un uomo gentile che lo aiuta nelle cose che lui non riesce più a fare, alla figlia, ai nipoti e a tre bellissimi bis-nipotini che con la loro allegria invadono la casa del bisnonno. Auguri Michele!

(foto di Dina Rebeschi)

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Mariangela Gerletti
mariangela.gerletti@varesenews.it

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Pubblicato il 09 Novembre 2017
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