No agli Ogm, sì al “Burkini”: come adattarsi al grande mercato musulmano
Un seminario alla Liuc organizzato dall'Unione industriali scandaglia un mercato lontano culturalmente ma golosissimo dal punto di vista del business: quello musulmano
Rappresentano un mercato amplissimo, quasi un miliardo di persone nel mondo. In paesi che, sebbene esotici e lontani dai nostri culturalmente, sono a poco più di un paio d’ore d’aereo. E, ora, hanno anche una porta d’accesso molto “amichevole” per il business occidentale: quella di Dubai, negli Emirati Arabi Uniti.
Sono i paesi, e i consumatori, musulmani: quelli arabi in particolare, ma anche una costellazione di paesi africani, orientali e anche europei, come il Kossovo. Hanno spesso grande capacità di spesa e certamente un altissimo tasso di sviluppo, ma hanno delle necessità diverse, e molto particolari, su cui vale la pena di riflettere: non foss’altro per il fatto che è uno dei mercati in principale espansione. E su cui la riflessione si è avviata questa mattina, 1 luglio 2009, alla Liuc, in un seminario organizzato dall’Unione Industriali di Varese.
«Il Corano definisce quali sono le merci Haram, cioè proibite, e dà indicazioni su quali sono i prodotti Halal, cioè consentiti e opportuni – spiega Aisha Lazzerini, ricercatrice dell’università Cattolica a Milano – solo questi possono essere utilizzati dal musulmano osservante. L’errore in cui però si può cadere è però che questa venga considerata una prescrizione di tipo legalistico o pratico. Si tratta invece di una regola religiosa, che è vissuta in una prospettiva molto più globale e spirituale».
Non è da affrontare all’occidentale la questione, quindi: anche perchè si tratta di paesi socialmente molto diversi dai nostri. «A parte Dubai le infrastrutture sono scarse, internet visibile solo in parte, il lavoro è per la stragrande maggioranza maschile e weekend per loro fissato tra il giovedì e il venerdì – spiega Stefano Ferrari, direttore vendite responsabile per quelle regioni della Scandura Srl, azienda milanese che opera come produttore e fornitore di sistemi e servizi per la taratura per la strumentazione industriale di misura – il che significa che l’attenzione alle diverse condizioni di partenza deve essere notevole e la settimana di lavoro con i paesi arabi è di soli tre giorni».
In compenso però proprio la regione di Dubai, e l’attenzione degli Emirati Arabi Uniti al mercato occidentale, hanno aperto una porta in un mercato difficile. La riunione dei sei principali paesi arabi in una confederazione che ha come obiettivo una unità economica e frontiere più blande (la GCC, nata nel 2008) e la realizzazione della Free Zone di Dubai, che dà alle aziende che impiantano sedi o uffici dedicate fortissimi vantaggi fiscali e una molto più alta mobilità all’interno dei paesi della Confederazione del Golfo, rende molto più semplice entrarci.
E il mercato è fatto di persone giovani con una altissima capacità di spesa, il cui processo di acquisto risente molto però delle abitudini familiari e religiose: «per il consumatore musulmano tutto è un atto di fede, e per commercializzare il prodotto è fondamentale che sia in linea con la loro vita religiosa» spiega infatti Ferrari. E se è facile immaginare che è Haram, cioè proibito, tutto ciò che riguarda alcol, armi, pornografia e tabacco, meno intuitivo è che lo sono anche le vendite sottocosto, quelle a premio, le aste o tutti gli alimenti Ogm.
Insomma, un adattamento che ha bisogno di parecchia attenzione, anche se ci sono settori più facili: «moda, elettronica e giocattoli non danno grossic problemi: al massimo necessitano di personalizzazioni marginali – spiega Emanuele Pizzurno, ricercatore della facoltà di ingegneria in Liuc – se la moda intesa come abbigliamento è velata, con colori molto discreti e tutto sommato sempre uguale, il mondo degli accessori è molto libero e permette una personalizzazione che crea clientela»
Il risultato è l’invenzione, per esempio, del “burkini” costume da bagno completamente coperto che vede il suo nome nell’unione tra burqa e bikini.
Stesso discorso per l’elettronica «adattarsi al mercato musulmano può significare semplicemente delle personalizzazioni, l’aggiunta di gadget – prosegue Pizzurno – come la bussola per cercare la Mecca inserta in un Nokia» niente che cambi la decisione di spesa di un musulmano, ma può sempre orientarla.
Tutt’altri problemi hanno invece il settore alimentare e quello cosmetico, perchè sono prodotti che vengono a contatto con l’uomo: in questo caso Haram sono i prodotti che fanno test sugli animali o usano grassi animali non certificati halal. Per questo i prodotti cosmetici biologici sono graditi anche alle musulmane. Anche se, in questo caso, non basta non utilizzare carne proibita o sangue: perchè diventa proibito anche il prodotto che è entrato in contatto con i prodotti proibiti, o che usa componenti non certamente trattati. Per il momento, aziende che realizzano prodotti Halal in Italia sono una manciata: forse è arrivato il momento di domandarsi se non sia il caso di tentare anche questo curioso mercato, così vicino a noi.
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