Servizi sociali, “la ragioneria non prenda il posto della ragionevolezza”

Un meditato intervento di don Alberto Lolli a seguito di un episodio di cronaca (le minacce di un cittadino all'assessore e allo staff) che ha aperto uno squarcio sulla difficile realtà di un'ampia fetta di bustesi. "È giunta l'ora di riflettere sulle nostre politiche sociali"

Sono entrato spesso nelle case dove il dolore è di casa. Conosco l’acre odore della sofferenza e quell’insopportabile senso di smarrimento che lo rende così simile alla paura. L’irrequietezza che non lascia immobili un istante e l’improvvisa pigrizia, quasi un senso di morte, che non permette di muovere un passo; i sussulti che d’un tratto escono con grido confuso, dando sfogo a ciò che non avremmo voluto dire, e il disarmo del silenzio. Conosco lo smarrimento del dolore. E lo riconosco.

Sento così il bisogno di provare a dar voce a chi questa voce l’ha smarrita o a chi non riesce ad esprimere altro che l’arrogante pretesa che la sofferenza genera. Dopo tanto clamore, dopo aver fatto silenzio, vorrei proporre umilmente un altro punto di vista. Mi riferisco all’aggressione verbale avvenuta nei giorni scorsi presso gli uffici dei servizi sociali del comune.
Non condivido la mancanza di rispetto, qualsiasi forma prenda. Non posso che deplorare certe contestazioni, fatte negli modi scorretti e nelle sbagliate sedi, soprattutto quando cedono il passo alla rivendicazione e, perfino, alla pretesa impaziente e poco intelligente. Non c’è dubbio che la povertà e la sofferenza che essa genera possano essere degradanti e raggiungere eccessi incondivisibili che, però, chi conosce gli “ultimi” dovrebbe saper rileggere e interpretare; chi è stato nelle case di dolore, riconosce quel grido del povero che “il Signore ascolta” (salmo 33).
Il Signore, appunto! E noi?

Nella disperazione di una città di “tanti soli” è giunta l’ora di riflettere sulle nostre politiche sociali. E dico “nostre” perché credo davvero che non sia prerogativa di pochi; perché sento che reinventare il “sociale” – questo mi pare il tentativo – ci debba interpellare tutti e ci chiami alla partecipazione che significa vicinanza alle persone, conoscenza delle loro storie, consapevolezza dei soggetti competenti e ascolto di chi vive ogni giorno accanto al bisogno di tanti “ultimi”.
Ho paura che la ragioneria prenda il posto della ragionevolezza e, nel silenzio, si consumino stravolgimenti di storie, famiglie e professionalità.
Non condivido la mancanza di rispetto, qualsiasi forma prenda. Appunto.
I tagli del “sociale” operati recentemente inducono alla riflessione. C’è un problema e si è reso drammaticamente evidente. Quale soluzione al dolore, alla povertà, alla paura del futuro, all’insicurezza?
Ho abitato le case dove il dolore è di casa e ho imparato che l’ascolto, il rispetto, l’attenzione al singolo, quanto meno, fanno sentire meno soli quegli “ultimi” che come cristiano devo amare e rispettare, come fossero il mio Signore, e come cittadino vorrei sentissero la società civile vicina e non ostile; la politica, che è servizio, deve dare imparare sempre più a dare spazio alle vite dei singoli, prima che vengano bruscamente “tagliate” insieme ai bilanci.

Nel macello qualche bestia appesa al gancio ancora scalcia e grida il proprio dolore. A noi la scelta di accogliere il suo istinto alla vita oppure no.
È urgente pensarci.
Perché quelli appesi al gancio non sono bestie.

Redazione VareseNews
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Pubblicato il 05 Ottobre 2009
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