Fra furbi e fessi c’è puzza di razzismo
Da una lettera che raccontava un episodio di inviciltà accaduto a Varese, è nato un dibattito fra i lettori sul rispetto delle regole?
Perché alcuni cittadini svizzeri, una volta varcato il confine italiano, si trasformano come incanto in "perfetti italiani" e schiacciano il piede sull’acceleratore? Se lo chiede Mauro Icardi in una lettera che ci ha inviato oggi sulla scia di un dibattito sul rispetto delle regole che anima la rubrica "Lettere al direttore" da qualche giorno. «Mi è capitato per esempio di vedere i civilissimi Svizzeri – ci scrive -, una volta arrivati al di quà del confine, saltare le file e comportarsi come i peggiori dei nostri connazionali, probabilmente per puro spirito di sopravvivenza. Invito ancora chi lo volesse a leggersi il "Codice della vita italiana" di Giuseppe Prezzolini e la distinzione che già nel 1921 l’autore faceva tra i "furbi e i fessi". Mi convincerò che non ci sia più in giro puzza di razzismo nei confronti di chicchessia, quando mi sembrerà di riscontrare un lieve aumento del senso civico e dell’educazione da parte di tanti miei connazionali».
Se facciamo un passo indietro, all’origine di questa riflessione c’è la lettera del signor Martinelli che, seduto a un bar di Varese, ha assistito qualche giorno fa a un parcheggio selvaggio da parte di alcuni cittadini di origine albanese. «Dico loro che in Italia a differenza forse dell’Albania, le linee bianche in quadrato indicano parcheggio, per tutta risposta vengo guardato in cagnesco e insultato in albanese. Visto che la legge italiana mi impedisce di farmi giustizia da solo, lascio perdere onde evitare magari di trovarmi nei guai…». Amara la conclusione a cui arriva: «Da stasera con grande rammarico posso affermare di essere un pochino razzista anche io, così come posso affermare che l’Italia è un Paese che sempre di più dimostra di non volersi bene, dal momento che permette a chiunque di venire qui a farsi impunemente gli affari propri infischiandosene di tutto».
Ma si tratta di razzismo o no? O la questione riguarda più il rispetto delle regole in Italia? È qui che si apre il dibattito fra i lettori. Felice Ferrazza si rivolge diretamente ai cittadini extracomunitari: «Siete in Italia, nessuno vi può cacciare via, ci sono associazioni che vi appoggiano, una certa parte della popolazione vi aiuta e voi arrivate anche ad accoltellarvi tra di voi?». Anche il signor Fascetti batte sul tema dell’accoglienza e del rispetto delle regole del paese in cui vai. «Chiunque vada in casa d’altri, che sia invitato o meno, ha il dovere di comportarsi più civilmente ed educatamente del padrone di casa. Queste sono le regole basilari della buona educazione e devono valere per tutti, se poi c’è chi afferma che il mondo è di tutti, che le frontiere sono solo un limite alla libera scelta di spostarsi dove si desidera il discorso diventa diverso e molto più complesso».
Marco Giuffrida e Roberta Lattuada non nascondono il problema, ma allargano la discussione: «In nome di un buonismo "peloso" – commenta il primo – e per ottenere voti e manodopera a basso costo una parte (consistente) della classe politica e dell’imprenditoria italiana non hanno esitato a svendere letteralmente il nostro Paese, spalancando le porte a chiunque per fini propri spacciati per solidarietà, accoglienza e bontà d’animo. E chi denuncia tale comportamento è automaticamente bollato di razzismo». Anche la lettrice tira in ballo la politica: «Un governo serio non fa assistenza, mette in condizione chi voglia portare benessere a se stesso e alla nazione in cui vive di poter lavorare, guadagnare, pagare le tasse, studiare, conoscere e rispettare la legge, partecipare ai doveri e ai diritti.
La compassione non rende autonomi nè forti. Un governo serio responsabilizza i cittadini, non li tratta come perenni questuanti, li libera dal bisogno non usa il ricatto per tenerli alla catena».
Ecco quindi che scatta la domanda e la riflessione di Icardi: «Ritengo che rispettare le regole disinvoltamente, sia un vezzo totalmente italiano, che affonda le radici nella nostra storia di paese intrinsecamente anarchico e invaso, più propenso ad ammirare magari di nascosto il furbo invece dell’onesto».
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