Bancarotta da 40 milioni, in manette i re Mida dei discount

Padre e figli sono stati arrestati per aver messo in piedi un sistema che vedeva al centro la fallita Agostini Cedis e una trentina di società collegate che gestivano supermercati e imprese immobiliari per occultare decine di milioni di euro

Al curatore fallimentare non tornavano i conti: la Agostini Cedis, holding della distribuzione ai supermercati con sede a Sesto Calende fallita nel marzo 2009, aveva accumulato debiti per 60 milioni di euro eppure non si riusciva a risalire ai beni per soddisfare i creditori che l’avevano messa in mora. Così la dottoressa Martellini, incaricata dal tribunale per la curatela fallimentare, ha chiesto alla Procura di Busto Arsizio di fare luce sul perchè. Inizialmente il sostituto procuratore Massimo Baraldo al quale è poi subentrato il collega Roberto Pirro Balatto hanno iniziato a indagare sulla marea di società che direttamente o indirettamente potevano essere collegate alla Agostini Cedis scoprendo che queste erano ben 35 e, grazie ad un’interminabile serie di movimenti di danaro (vero e fittizio), erano riusciti ad occultare almeno 42 milioni di euro. Alla società capofila facevano riferimento decine di supermercati in provincia di Varese e non solo, tutti amministrati da prestanome che all’apparenza non erano direttamente collegati all’Agostini Cedis ma che in realtà erano parte integrante della società facendo configurare il reato di bancarotta fraudolenta che ha coinvolto una rete di società che davano lavoro ad oltre 400 persone.

I risultati dell’indagine denominata “Affari di Famiglia” sono stati presentati questa mattina, venerdì, in Procura dal procuratore capo Francesco Dettori insieme al comandante provinciale della Guardia di Finanza Antonino Maggiore. A spiegare i meccanismi, però, ci hanno pensato il maggiore delle Fiamme Gialle Giuseppe Fugacci e il magistrato Roberto Pirro Balatto, che ne hanno seguito le fasi salienti. Il trucco c’era ma non si vedeva e potrebbe essere spiegato a grandi linee in questo modo: la società capofila Agostini Cedis acquistava la merce che riforniva i supermercati dai fornitori e a sua volta la rivendeva ai 24 discount che rappresentavano la rete di vendita al dettaglio, questi market non la pagavano alla Agostini Cedis, facendole accumulare debiti nei confronti dei fornitori, e spostavano il ricavato verso altre società  (immobiliari), intestate a prestanome e incaricate di acquistare beni immobili nelle province di Milano, Varese e Novara.

Nel frattempo, tramite un complesso sistema di crediti, spostavano i soldi che servivano a ricapitalizzare la Agostini Cedis per rallentare il fallimento incombente. Le società immobiliari, a loro volta, accendevano mutui con le banche che davano fiducia e non ripagavano le rate creando ulteriori debiti. Il risultato è un flusso complessivo di denaro di 42 milioni di euro secondo valori di bilancio così composti: iscrizione nello Stato Patrimoniale di falsi debiti per 2.8 milioni di euro; iscrizione nello Stato Patrimoniale di attività inesistenti per 700 mila euro; imputazione al conto economico di costi inesistenti per 1.7 milioni di euro; evasione di IVA per 429 mila euro; iscrizione nello Stato Patrimoniale di un capitale sociale inesistente per 2.8 milioni di euro; operazioni a favore di altre società del gruppo, generatrici di perdite, per 13.4 milioni di euro; operazioni immobiliari fittizie, volte ad ottenere finanziamenti bancari, producendo perdite per 16.1 milioni di euro; emissione di fatture commerciali per operazioni inesistenti, per 3.8 milioni di euro.

Alla conclusione delle indagini, le prove raccolte hanno portato all’arresto degli artefici della bancarotta colpiti da ordinanze di custodia cautelare in carcere, emesse dal giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Busto Arsizio Nicoletta Guerrero, quali amministratori del gruppo societario di fatto nei confronti di Francesco Agostini di anni 62 e dei figli Marco di anni 37 e Claudio di anni 31. Sono state sequestrate, inoltre, 35 unità immobiliari, in esecuzione di appositi decreti emessi dallo stesso GIP del Tribunale di Busto Arsizio, intestate alle varie società del gruppo, costituite da uffici, appartamenti, autorimesse, fabbricati commerciali, negozi, aventi un valore stimato di circa 15 milioni di euro. Questi beni serviranno a ripagare una parte dei 60 milioni di euro di debito contratti ma non è detto che la cifra possa aumentare. Denunciate a piede libero anche 6 persone, i prestanome delle società satellite.

In sostanza Agostini e figli avevano messo in piedi un sistema finalizzato a mettere al sicuro i proventi illeciti dall’eventuale fallimento della società capofila Agostini Cedis creando società intestate a prestanome ma di fatto nella disposnibilità totale degli Agostini. Il fiuto della curatrice fallimentare ha permesso di scoperchiare il grande bluff grazie al lavoro di Procura e Guardia di Finanza collegati tra di loro dall’aliquota di Polizia Giudiziaria della Gdf rappresentata dal maresciallo Giovanni Antico che ha fatto da trait d’union.

L’analisi dei rapporti tra le società all’interno del gruppo, sotto il profilo contabile, hanno attrestato le relazioni reciproche tra le varie società apparentemente scollegate. Questa relazione ha fatto emergere una generale inattendibilità e contraddittorietà delle scritture contabili, la cui tenuta ed aggiornamento avveniva, nella sostanza, ad opera della società capo-gruppo (la fallita), per conto di tutte le altre, nonché l’utilizzo spregiudicato di “giroconti”, traslazione di crediti e debiti, senza ragioni plausibili, ed altre artificiose manovre contabili, volte ad alterare l’effettività, i motivi reali e gli importi delle transazioni effettuate. La finalità di tale strategia era quella di “camuffare” la complessiva situazione d’insolvenza, che, progressivamente, stava investendo l’intero gruppo societario, spostando la liquidità disponibile sulle aziende dove lo stato di disagio economico e finanziario era più evidente e, in una fase successiva, quella di tentare di “salvare il salvabile”, cercando di far confluire le passività “più pesanti” verso una delle imprese del gruppo, con l’intenzione di trasformarla in una “bad company”, destinata al dissesto ma apparentemente vuota.

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Pubblicato il 10 Dicembre 2010
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