Ho 38 figli e sono felice

Quella di Innocente Figini è una storia iniziata vent’anni fa. Partita dalla crisi di un medico sull’orlo di un matrimonio è diventata la storia di una comunità straordinaria: l'associazione Cometa

Quella di Innocente Figini è una storia iniziata venticinque anni fa. Partita dalla crisi di un medico sull’orlo di un matrimonio, è diventata la storia di una comunità straordinaria: l’associazione Cometa. «La realtà non mi interrogava più – racconta Figini – cercavo di piegare la realtà ai miei desideri ed ero infelice. Ho incontrato don Giussani e la mia vita è cambiata perché lui ha tirato fuori i desideri che avevo dentro e mi ha portato a giocarmeli nella realtà in cui vivevo».
Quella crisi di senso diventa la «salvezza di Figini» che decide di prendere in affido un bambino sieropositivo. Poi arriveranno sette figli, uno all’anno, e una cascina alla periferia di Como. Lì nasce
un’esperienza di famiglie, ciascuna con 6 figli, che dalla comunione si aprono all’accoglienza.
Nel 2000 viene costituita l’associazione Cometa e subito dopo l’omonima fondazione.

Le cifre saranno pure fredde, ma danno l’idea esatta di che cosa ha generato quel «risveglio»: 4 comunità familiari, 14 figli naturali e 24 in affido residenziale, a cui si aggiungono 50 famiglie coinvolte nell’esperienza dell’accoglienza e dell’affido, 90 bambini e ragazzi coinvolti nelle attività diurne, 130 bambini e ragazzi coinvolti nelle attività della polisportiva, 1.000 minori aiutati a recuperare la motivazione allo studio e reinserirsi nel percorso scolastico con specifici corsi d’orientamento nella scuola secondaria, 180 ragazzi inseriti nei percorsi di formazione professionale, 250 aziende coinvolte nei percorsi educativi della scuola e circa 450 persone tra volontari e operatori retribuiti.

Figini non si sente il portatore di un particolare messaggio, piuttosto «il servitore di una via indicata da altri». Non è sempre facile. La convivenza, soprattutto tra ragazzi, scatena tensioni, ma alla
fine prevale l’attenzione per l’altro, il desiderio di condividere. Ogni nuova accoglienza genera una contestazione e subito dopo l’affetto, la solidarietà. Alcuni ragazzi sono scappati, ma sono sempre ritornati perché lì riconoscevano un punto fermo della loro esistenza.  «Quando mio figlio maggiore ci contestava – conclude il fondatore di Cometa – don Giussani diceva: “la ribellione dei nostri figli, riposa sulle nostre certezze”».

Redazione VareseNews
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Pubblicato il 11 Novembre 2011
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