Da Varese a Fa’ la cosa Giusta: arriva la moda senza barriere

Freeshore, linea di abbigliamento creata nel varesotto, è studiata per bypassare ogni disabilità. Verrà presentata alla fiera solidale, ma non ha ancora un compratore

freeshore, fashion per disabiliC’è un intero catalogo di abbigliamento casual che prevede jeans, pantaloni “cargo”, felpe con taglio all’americana e polo manica lunga che possono mettere tutti, ma proprio tutti: anche se stanno in carrozzina, o hanno un tutore nel braccio.

È il catalogo di Freeshore, linea di abbigliamento creata nel varesotto e studiata per bypassare ogni disabilità: una linea che verrà presentata questo fine settimana nella sezione "Critical Fashion" all’interno di Fa’ la Cosa giusta, la fiera che raduna oggetti e servizi per una vita più sostenibile, dal commercio equo e solidale al risparmio ambientale, dalla finanza etica agli aiuti a chi ha difficoltà.  Un catalogo, però, che si può vedere – in Fiera, ma anche in Internet, all’indirizzo http://www.freeshore.it/ – ma non comprare: perché non ha negozi che abbiano accettato di venderlo.

«Evidentemente, non sono ancora pronti per accoglierli: fino ad ora non li ha presi nessuno – conferma Michela Colombo, a capo della linea di abbigliamento che viene concepita e prodotta tra Sumirago e Olgiate Olona  – Però abbiamo intenzione di insistere, siamo cocciute: in particolare siamo determinati a venderli in negozi di abbigliamento “normali”. Il problema è che i negozi normali spesso non sono attrezzati per “clienti speciali”: sono piccoli, non a norma, non attrezzati con le sale prova eccetera». Non sono solo i problemi pratici, però, a fermare i possibili responsabili di punti vendita: «Molti sono anche scettici, dicono che questo mercato non esiste e non c’è richiesta. Noi invece siamo assolutamente convinte che si sbagliano. Pensi solo a chi ha delle disabilità temporanee, come le fratture. Sono tantissimi, e hanno delle difficoltà notevoli a vivere come prima. I nostri capi servono spesso a mantenere una autonomia perduta, cioè a permettere chi ha delle difficoltà a fare il più possibile da solo e aiutare a far meno fatica chi si prende cura delle persone impedite nei movimenti».

MIchela ColomboL’idea è nata, come capita spesso, da una esperienza personale: «Noi – io e altre due sorelle che lavorano nel settore – abbiamo una nostra azienda, si chiama Mec Service, che fa abbigliamento casual da 20 anni. Qualche anno fa una di noi è caduta e si è rotta l’omero, procurandosi una bruttissima frattura che l’ha costretta a un fissatore esterno. Quando abbiamo visto quell’aggeggio sul suo braccio, ci siamo rese conto che finché teneva quel fissatore non avrebbe potuto vestirsi, se non con un poncho».  Ma le sorelle, che lavorano nell’abbigliamento, non si perdono d’animo: «Abbiamo pensato di fare qualcosa che le permettesse di vestirsi dignitosamente: così abbiamo creato le prime maglie con i bottoncini sulla spalla. Quando poi, per complicazioni varie, lei è stata operata di nuovo e si è ritrovata a fare due anni di fisioterapia, abbiamo potuto anche cominciare a confrontarci con i fisioterapisti e con chi li frequentava. Scoprendo che per chi ha alcuni problemi, non esisteva niente di specifico per vestirsi: gli unici capi “praticabili” erano magliette con le maniche corte e bermuda. Così abbiamo cominciato a disegnare vestiti che fossero un po’ carini e le permettessero di ovviare al problema: innanzitutto abbiamo realizzato per mia sorella una felpa, che ha bottoncini su tutta la parte superiore e quindi può essere aperta e allargata in qualunque punto. Tutto il resto l’abbiamo “provato sul campo” con amici: un nostro amico in carrozzina ci ha provato tutti i capi adatti a chi la usa, per esempio».

I capi, una selezione di maglie e pantaloni casual ma non troppo, sono così pronti per essere messi in vendita, ma non hanno compratori tra i professionisti: loro sono infatti alla ricerca di negozi che permettano di avviare la produzione in serie. Ma: «Ormai sono due anni che giriamo con il nostro catalogo: tante belle parole e niente di concreto. I negozi di vestiti dicono che non interessa perché sono da disabili, le sanitarie dicono che non interessano perché sono abbigliamento, che loro non trattano. Però ci dispiacerebbe buttare tutto il lavoro di progettazione all’aria».

Se non troveranno dei punti vendita “veri”, hanno deciso così di mettersi completamente on line: «Pensiamo di entrare nell’e-commerce, che fino ad ora non avevamo preso in considerazione: io personalmente non compro in internet e quindi non so se valga la pena. Però, a questo punto, ci proviamo: il sito dovrebbe essere operativo per maggio-giugno».

Nel frattempo, non perdono la speranza di vederli nei negozi, e continuano a girare con la loro valigia: «Ci hanno invitato a Fa’ la cosa giusta, e siamo felici di andarci. Ma non perderemo anche la prima fiera nazionale per la disabilità, che si chiama Reatec e sarà a Milano: nella speranza che qualcuno capisca che quello che abbiamo fatto è qualcosa che ne vale la pena».

Redazione VareseNews
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Pubblicato il 29 Marzo 2012
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