John Cage, Alfonso Alberti e la musica del Novecento
Alberti è di scena venerdì 27, alle ore 21.15, al Teatrino di Villa Gonzaga in via Greppi 4 (ingresso libero) per la decima edizione della rassegna “Suono e Segno”
John Cage amava la musica, la cultura orientale, il silenzio-suono. Nel 1958, però, partecipa a “Lascia o Raddoppia” nelle vesti di esperto di funghi e vince cinque milioni di lire. Mike Bongiorno si congratula e gli augura buon ritorno in America. Risponde, Cage: “Mia musica resta”. E il conduttore ribatte: “Era meglio il contrario: che la sua musica andasse via e lei restasse qui”. Il personaggio era scomodo e la sua musica lo è tuttora. Chiederlo ad Alfonso Alberti (foto) – di scena venerdì 27, alle ore 21.15, al Teatrino di Villa Gonzaga in via Greppi 4 (ingresso libero) per la decima edizione della rassegna “Suono e Segno” – non è una soluzione. Perché Alberti è riconosciuto tra i maggiori interpreti della musica del Novecento ed è apertamente schierato nella divulgazione e promozione di quell’avanguardia che non va per il sottile.
Pianista e musicologo di salda preparazione, studia con Piero Rattalino e Riccardo Risaliti. Classe 1976, esordisce all’età di diciassette anni, con l’Orchestra della Rai, nella Sala Verdi del Conservatorio di Milano nel Quarto concerto di Sergej Rachmaninov. Da allora è stato un continuo crescendo di cd e performance dedicati alle opere – integrali o meno – di Niccolò Castiglioni, Gérard Pesson, Goffredo Petrassi. Interprete di fiducia di Giorgio Gaslini (che gli affida lo studio di brani ancora freschi d’inchiostro), Alberti gode della pienezza che comunica la musica dei nostri giorni. Pienezza per la quale ci vuole un poco di “fegato” (quello di cui ci parlava questa estate Luis Bacalov, perché è musica di ansia, paure e angosce) ma anche tanta curiosità. John Cage – l’autore che si prende lo spazio maggiore nella serata dal titolo “America ieri e oggi” con lavori che vanno dal 1946 al 1952 – si risolve, per esempio, anche in divertimenti sinceri seppur intellettuali. Soprattutto quando decide di far crollare il mito del pianista romantico e anticipare il XXI secolo con le sue incursioni nel silenzio. “Ophelia”, “Works of Calder”, “Solo for Piano” e “Water Music” non sono solo suoni, ma curvature del pensiero. Immaginazione pura che fa dell’autoironia, e della critica feroce al mondo ed ai suoi schematismi espressivi, una sorta di religione. A seguire, “Opening” di Philip Glass, Morton Feldman con “Intersection” e “Last Pieces” e “Preludes” di Sean Shepard. Per sapere come é fatto il futuro.
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