Quando la palude era “Fonte di vita”
La palude Brabbia non è sempre stata un'oasi naturlistica. E non è sempre stata un disastro. Ci sono stati tempi in cui è stata risorsa. E c'è chi può ancora testimoniarlo. Come Riccardo Daverio
La palude Brabbia non è sempre stata un’oasi naturolistica. E non è sempre stata un disastro. Ci sono stati tempi in cui è stata risorsa, valore economico, fulcro del paese. E, poichè non è avvenuto molti decenni fa, c’è chi può ancora testimoniarlo. Come Riccardo Daverio, da sempre abitante di Inarzo, memoria storica della Palude Brabbia: «Per lui la palude è tutto»: spiega sua moglie. Riccardo, nato nel 1931, ha visto e vissuto la palude ben prima che diventasse una riserva naturale visitata da migliaia di studenti ogni anno.
La conosceva da quando «La palude era una fonte di vita, ci dava da mangiare». Riccardo infatti ha estratto la torba, «E ne tiravamo fuori tanta, che veniva il Nidoli a comprarla, la pagava un tanto al metro». Ha raccolto i fiori «E ne raccoglievamo centinaia e centinaia al giorno: un anno ne abbiamo colti 40mila». E ha pescato, pescato tanti pesci. «Tinche, lucci. Con le reti. Quanto pesce si prendeva… un po’ li mangiavamo e un po’ li vendevamo. Una volta ne ho venduti 50 chili a una pescheria del centro di Varese. Vivi. E siccome non avevo la macchina, glieli portavo a a cavallo un po’ per volta, e poi loro li mettevano nelle vasche». Gli uccelli tanto protetti ora per lui non rappresentano nulla: «Al massimo erano un fastidio per la pesca». Ma anche per lui
Dalla palude emergono anche ricordi che segnano la storia d’Italia: cose antiche, che sono accadute una manciata di decine d’anni fa. Ricorda della strada che facevano le donne a piedi «fin da Galliate Lombardo» per andare alla tessitura di Varano Borghi «Le sentivi passare, alle 5 di mattina, le riconoscevi dal tactactac degli zoccoli». E dà una dritta per evitare di essere attaccati da tutti gli insetti della palude «Aceto. Noi ci cospargevamo di aceto prima di andare a lavorare. Brucia un po’ addosso appena si metteva. Ma poi non ti attacca più nessun insetto».
Queste storie, poi, sono finite anche per lui: «Sono andato a lavorare in Ignis, quando è aperta, e ci sono rimasto 27 anni. Di giorno lavoravo, poi andavo in palude». A pescare, dopo che la palude è diventata riserva, ci ha pure provato, anche se era illegale: «Ma mi beccavano sempre, e una volta mi hanno fotografato. Mi sono un po’ preoccupato, da allora non ci ho riprovato più».
Riccardo farà parte, anche lui, dei festeggiamenti in palude per i trent’anni di riserva: presenzierà alle cerimonia di domenica pomeriggio. Perché, anche lui, è un pezzo di quella storia.
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