I cinesi e i costi della ricerca: svanisce il sogno “green” di Marcegaglia

Nel giro di 7 anni e senza aver prodotto un solo pannello fotovoltaico chiude i battenti la Arendi di via Ceresio, l'azienda simbolo della riconversione industriale uccisa dalla concorrenza asiatica e dai costi troppo alti


Sarebbe dovuto diventare il fiore all’occhiello della produzione di pannelli fotovoltaici del gruppo Marcegaglia, ma anche l’orgoglio di un territorio che vuole convertirsi alla green economy. Le premesse erano buone per la Arendi Spa: il meglio della ricerca e dell’innovazione grazie all’Università di Parma, cervelli italiani all’estero che erano rientrati per portare il loro contributo, una scuola tecnica vicina (l’isis di Gallarate, ndr) e pronta a sfornare dipendenti preparati, un mercato in forte ascesa. Anche Regione Lombardia ci aveva creduto, concendendo un contributo di 9 milioni di euro da aggiungere all’investimento del gruppo Marcegaglia di oltre 40 milioni di euro.

Tutte queste caratteristiche alla base del progetto della produzione di pannelli fotovoltaici con film sottile in cadmio non sono bastate perchè tutto filasse liscio e in questi giorni, in uno stabilimento ormai completamente vuoto, si stanno caricando gli ultimi camion che porteranno via ciò che rimane. A coordinare le operazioni di svuotamento c’è l’ingegner Giuseppe Vecchio, il production manager che ha visto l’azienda nascere e morire nel giro di 7 anni, e qualche operaio che era stato assunto per produrre e che ora si ritrova a smontare: «E’ un grande dispiacere per me e per tutti coloro che hanno creduto in questo progetto, a partire dal gruppo Marcegaglia – racconta Vecchio – ma purtroppo le cose non sono andate come si sperava. Nel giro di pochi anni è cambiato tutto il mercato». I cinesi nel 2010 non comparivano tra i primi dieci produttori al mondo di pannelli fotovoltaici, nel 2011 ben 9 industrie su 10 della top ten mondiale erano cinesi. In questo dato è racchiuso il fattore endogeno che ha chiuso di fatto il mercato della Arendi. Quando un chilowatt di punta passa da un prezzo di 2,5 euro a 50 centesimi c’è poco da fare.

Il fattore endogeno, invece, è stato il problematico avvio della produzione e lo spiega il Ceo di Arendi, Roberto Garavaglia: «Il problema all’avvio della produzione è stato l’altro fattore che ha cambiato le prospettive – spiega – purtroppo il macchinario che doveva far partire la produzione era nuovissimo, mai testato prima, realizzato per la prima volta proprio per questo tipo di produzione e ottenere il prodotto che ci aspettavamo non è stato facile, seppure in ambito di ricerca tutto funzionasse alla perfezione». I primi pannelli prodotti erano leggermente inferiori, come resa, alle aspettative del piano industriale e questo fattore ha dato la mazzata finale al progetto lonatese. La produzione è iniziata con circa un anno di ritardo rispetto a quanto preventivato e in quell’anno è successo di tutto sia nel mercato internazionale (con l’entrata in massa dei cinesi) che in quello nazionale con le indecisioni del governo tecnico a guida Monti sugli incentivi per l’installazione dei pannelli fotovoltaici. Per non parlare, infine, del costo dell’energia che pesava sulle casse dell’azienda per circa 80 mila euro al mese.

Il sogno di avere un’azienda da 150 dipendenti che produce energia pulita a Lonate Pozzolo è svanito con la liquidazione della società e l’arrivo del commissario liquidatore che ha gestito l’ultima fase dello smantellamento. Verrebbe da dire: ma siamo sicuri che la green economy sia la panacea di tutti i mali dell’industria italiana?

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Pubblicato il 30 Gennaio 2014
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