“La Regione Insubrica ha un futuro ma non sarà la politica a costruirlo”
Vent'anni fa nasceva la Regio per favorire la cooperaizone, oggi le relazioni transfrontaliere sono frenate dalla conflittualità. Che cosa non ha funzionato? L'analisi degli studiosi Ratti e Mazzoleni
A che punto sono i rapporti tra Canton Ticino e territori di confine? Dove nasce l’ostilità verso la presenza dei frontalieri italiani? Perché la Regio Insubrica, in quasi vent’anni di attività, non ha raggiunto i risultati che si era prefissata? Ha ancora senso parlare di confini nell’era del web? Tanta "carne al fuoco" sulle tematiche transfrontaliere nel seminario organizzato dai professori Gioacchino Garofoli e Lelio Demichelis, del Dipartimento di Economia dell’Università degli Studi dell’Insubria. Ospiti dell’incontro l’economista Remigio Ratti e il politologo Oscar Mazzoleni, autori del volume "Vivere e capire le frontiere in Svizzera", una riflessione, da più punti di vista, del concetto di confine tra stati e territori.
Il libro analizza casi diversi e in particolare quello della frontiera a Sud della Svizzera, territorio particolarmente interessante da questo punto di vista, alla luce dei profondi cambiamenti subiti negli ultimi decenni. «Le frontiere – ha spiegato Mazzoleni – sono una cartina di tornasole per leggere le trasformazioni economico sociali del nostro tempo. Se pensiamo al caso del Ticino ci dobbiamo interrogare su che cosa è cambiato e come si è arrivati alla situazione di conflittualità odierna.
Negli anni Ottanta erano state poste le basi per avviare una collaborazione transfrontaliera. C’erano tutte le ragioni per collaborare: sociali, economiche, culturali. Poi però, con il passare degli anni la situazione è mutata, si è arrivati a scontrarsi con una serie di ambiguità: la presenza dei frontalieri è diventata un problema, i partiti che hanno cavalcato il malcontento hanno ottenuto il successo elettorale, si è arrivati a prendere provvedimenti di protesta come il blocco dei ristorni e oggi si mette in dubbio la partecipazione del Cantone ad Expo».
Nelle loro analisi i due studiosi hanno cercato di far luce sulle difficoltà di rapporti "di vicinato" in cui oggi ci troviamo. «A mio avviso in questo scenario la politica territoriale ha fallito – osserva Mazzoleni -. Da un lato perché le relazioni di confine sono spesso regolate da accordi bilaterali, quindi a livello statale, e difficilmente avremo l’interesse di Berna e di Roma verso queste tematiche, dall’altro perché è stata affidata a un’ente di diritto privato, la Regio Insubrica, la missione di cooperare a livello internazionale. Non è stata data dunque la reale possibilità di collaborare a livello istituzionale e amministrativo come invece è avvenuto in altre aree di confine. Questo è stato un forte limite. Oggi l’economia ha elementi di forza per invertire la rotta, penso ad esempio alle associazioni di categoria che dovrebbero giocare da protagonisti questa partita».
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Più fiducioso, sul ruolo della Regio Insubrica è invece Remigio Ratti, che da anni studia le relazioni di frontiera: «Ho individuato diverse tipologie sulla base del concetto di confine che va dalla semplice separazione tra territori alla delimitazione di vere e proprie zone di contatto, da confini fissi a mobili. Per quanto mi riguarda sono convinto che i confini esistano soltanto nella mente». Ratti ha seguito in particolare il caso della comunità di lavoro, fin dalla sua istituzione nel 1995: «Nel caso della Regio Insubrica, ho individuato quattro possibili scenari in base al grado di cooperazione. Se vogliamo raggiungere la fase più intensa occorre che i soggetti che costituiscono la governanza dei territori ragionino in un’ottica di progettualità. Guardando soltanto al breve periodo si rischia di rimanere in balia degli eventi, subendo la vicinanza piuttosto che coglierne le opportunità. Soltanto con un reale impegno e una collaborazione aperta a più livelli e settori che guarda al medio e lungo periodo, si può arrivare a una cooperazione intensa e strutturata. Sono scettico sulla proposta dlela zona franca mentre ritengo più vantaggiosi dei casi di cooperazione che già funzionano, penso ai Gect (Gruppo europeo di cooperazione territoriale), un modello di relazione internazionale già attuato in altre aree di confine e regolato anche a livello normativo».
Leggi l’intervista a Remigio Ratti dopo il voto svizzero contro la libera circolazione delle persone
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