Renzi, le sinistre e il socialismo di ritirata

Renzi, presidente del consiglio, agustawestland, finmeccanica

Che vi sia una chiara e netta determinazione politica a coagulare strumentalmente la galassia dell’opposizione politica del nostro paese è un dato reale. Il bersaglio prescelto è Renzi. Anche questo sembra assodato, ma è importante capire perché lo si combatte, soprattutto quando le ostilità si annidano nello stesso schieramento. Ostilità rappresentate dalla sinistra riformista e radicale, politica e sindacale. Mai una forza di sinistra italiana ha raggiunto livelli così alti di consenso e mai si è trovata così divisa. È una sinistra di guida e di comando, ma non riesce a reinterpretarsi e a dare compattamente senso di governo e immagine di futuro ai mutamenti produttivi, sociali, culturali e generazionali in questa fase complessa della storia interna e internazionale.

Anche i post comunisti e i post democristiani di nuova generazione stentano, per vizi ideologici, a ritrovarsi in una società di cui non possiedono adeguate chiavi di lettura. Gli uni senza più classe generale cui appoggiare un minimo di progetto politico, gli altri privi della rappresentanza monopolistica e integralista delle classi sociali e disorientati dalla perdita di presa sui ceti medi corrosi e destrutturati dalla crisi perdurante. Gli uni e gli altri dovranno fare i conti con un invaso sociale frastagliato e impoverito, incagliato nei meandri della sfiducia e dell’incertezza, alla ricerca di una nuova piattaforma politica e sociale che lo rappresenti, nell’ottica di una riappropriazione di ruolo.

A queste complessità incombenti cercò di fornire adeguate risposte l’Ulivo, tracciando un nuovo percorso di unità delle forze riformiste, cattoliche e socialiste, definendo uno sfondo progettuale teso a ridare al riformismo politico e sociale saldezza di valori e respiro propositivo. Insomma una funzione storica e un senso di alternativa al declino inesorabile d’impronta berlusconiana, al fallimento non più strisciante della classe politica di centro destra e di centro sinistra. In quel nuovo tracciato politico intervenne la sinistra conservatrice, ambiziosa quanto miope e ambigua, bloccando quanto stava nascendo. Forse si auspicava la riproposizione del mito della classe operaia, stimolatore della riorganizzazione delle fasce sociali deboli, vittime dell’autoritarismo di centro destra, della crisi politica e sociale, della imperversante corruzione. Quella sinistra, oggi radicale e minoritaria, giocò le sue ultime carte auspicando una qualche versione di socialismo possibile, sia pure di ritirata. Si pensò d’imbastire un conflitto fra neoliberismo nostrano e socialismo moderno in una società divaricata e ingiusta. La sinistra, cattolica e riformista, fallì quella sfida e non comprese la portata strutturale del suo fallimento storico, strategico, politico e culturale. Di fronte ad essa c’era un’altra società, altri umori, altre dinamiche interne e internazionali e non poche sconfitte. Il gruppo dirigente di quella sinistra fu incapace di avviare una fase rinascimentale della nostra storia futura. È qui che s’innesta l’intuizione di Matteo Renzi: rivoluzione liberale come unica arma per rinnovare radicalmente il paese.

La via di Renzi è una via differente dal socialismo di ritirata, dal socialismo minimo e casereccio offerto dalla vecchia sinistra. È diversa anche dal socialismo europeo tradizionale, che muove i suoi passi con lentezza lasciandosi vincere dal conservatorismo. La sfida di Renzi ormai si gioca solo strumentalmente all’interno del Pd, ma è una battaglia europea e nazionale, di valori, di cultura, di rinnovamento istituzionale e sociale che deve saper fare i conti con il populismo delle destre conservatrici per sradicare i deboli dalla miseria, dall’oppressione della finanza e della burocrazia. Renzi, per essere credibile, deve agire per rigenerare le istituzioni, liberandole dalla corruzione, dalla protervia e dalle ingiustizie del sistema fiscale. La sua, per dimostrarsi efficace e radicale, deve essere una rivoluzione che consolidi una cultura di governo innovativa, che ridia vigore alle funzioni dei corpi sociali intermedi (impresa, famiglie, comuni e associazioni) in un’ottica di unità superiore di valori, in primo luogo etici, convogliando unitariamente e positivamente gli interessi produttivi e sociali, riattivando fiducia e partecipazione. Oggi è l’anacronistica politica minore, ordinaria e trasversale che ostacola i necessari mutamenti del presente e i progetti di futuro.

Si avverte un senso di disorientamento nei partiti. Mancano di una corretta analisi della storia recente e di un giudizio rigoroso e leale sulle vie del rinnovamento. Tutto ciò carica certi ambienti politici, a destra e a sinistra, di confuse e strampalate proposte per riattivare la ripresa, mascherando nient’altro che vuoto di pensiero. C’è chi si dà alla “sbruffonaggine” e chi pensa di costruire un’area di “coalizione sociale”, incollando piccole cose, con l’auspicio che si possa dar corso a una “grande cosa” chiamata sinistra antagonista. C’è invece molto bisogno di coniugare realtà e immaginazione. Questo è il momento giusto per sfatare la maledizione del luogo comune secondo cui di sinistra è solo l’immaginazione mentre la realtà è di destra. Seneca diceva che “quando un uomo non sa verso quale porto è diretto, nessun vento è il vento giusto”. Bisogna capire bene oggi qual è la direzione del vento e alzare le vele giuste per non farsi gestire da “rematori” tanto agguerriti quanto mediocri. Vele che trovano nei media il fiato del “catastrofismo in agguato” per gonfiarle verso rotte pericolose, a destra e a sinistra. Alcuni di questi media versano in una preoccupante carenza di protagonismo positivo, impoveriti anch’essi nei contenuti, nel linguaggio e nell’etica professionale. Divorati dalla disperazione dell’audience, tuffati nella palude del giornalismo pseudo sensazionalistico, non riescono più a delineare un ruolo utile per il paese. Utilizzano qualsiasi forma di giornalismo stuzzicando il populismo sempre pronto ad essere il termometro più evidente della democrazia perversa. Criticare e fustigare quando occorre è sacrosanto. Usare il sospetto come colpa già consumata no! L’informazione deve essere un’altra cosa.

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Pubblicato il 16 Aprile 2015
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