L’ultimo saluto a Francesco: “Ci ha insegnato a vivere con dignità”
In tantissimi per l'ultimo saluto al "bibitaro" del palazzetto di Masnago. La cerimonia officiata anche da don Ernesto Mandelli

Una persona smarrita, ma tanto testarda da saper affrontare la vita con dignità, nonostante le numerose sfortune. Così è stato descritto Francesco Barelli, detto “Boninsegna”, l’uomo che vendeva bibite e panini al palazzetto di Masnago a Varese, scomparso lunedì 2 novembre.
I funerali si sono svolti mercoledì mattina, 4 novembre, nella chiesa parrocchiale di Castiglione Olona, con la cerimonia officiata da don Ambrogio Cortesi, insieme a don Ernesto Mandelli. Proprio quest’ultimo aveva conosciuto Francesco ancora da ragazzo, quando doveva affrontare la vita, dopo aver girato numerosi istituti per minori, non avendo mai conosciuto la propria famiglia.
In tantissimi si sono presentati per dare l’ultimo saluto a Francesco. Immancabile sulla bara il cappellino con cui girava sempre per il paese, ma anche per la provincia.
È stato proprio don Ernesto Mandelli, che accolse Barelli diventato maggiorenne nella cooperativa Primavera 84, riuscendo così a trovargli un lavoro, a ricordarlo nella omelia: «Francesco non ha avuto la fortuna è la gioia di una famiglia, gli è mancato l’affetto più bello e prezioso di un bambino – ha raccontato dal pulpito don Ernesto -. Poi a 18 anni ha incontrato una famiglia che lo ha accolto, che lo ha sostenuto anche nelle sue esuberanze. Nella vita, è stato sfortunato anche a causa dei suoi limiti, ma questi non gli hanno impedito di vivere».
«Ha cercato il lavoro, non ha voluto la vita da assistito e ha vissuto il lavoro come mezzo per la propria emancipazione – ha proseguito don Ernesto, visibilmente commosso -. E questo è un grande messaggio che ci lascia: la vita va vissuta con i talenti e le proprie capacità, doni che Dio ci ha fatto. Francesco, proprio per questo suo modo di fare socievole con tutti, era anche in operatore di pace, inserito nella propria comunità, amava parlare del suo paese e amava stare tra le persone. Non è stato fortunato come noi, ma ha fatto fruttare i doni che ha ricevuto. Lo ricordiamo non compiangendo una persona dicendo “poverino”, bensì ricordiamo una persona semplice che ci ha insegnato, nella sua esuberanza, a vivere con dignità».
Al termine della cerimonia, non è mancato il ricordo di una donna, che ha preferito non dire il proprio nome, ma parlare a nome di chi ha accolto Francesco da bambino: «Quando lo incontrai era un ragazzo smarrito, che era passato da un istituto all’altro perdendo anche la propria dignità. Ma la comunità di Castiglione ha saputo accoglierlo, grazie a Mario e Mariangela, a don Tino e i giovani della comunità di allora. Le vicissitudini dello vita lo portarono poi fuori dalle mura, ma la sua testardaggine fu la sua virtù. Ha vissuto al meglio una vita per le proprio e capacità. Spero che ad accoglierlo ora ci sia stata la madre di cui non ha mai conosciuto il volto».
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