E’ scontro tra grafologi sulla lettera di Binda
Due relazioni completamente diverse tra accusa e difesa. Interrogato anche Attilio Fontana, all'epoca vicepretore a Gavirate
Stefano Binda non metteva i puntini sulle “i”. Lo ha detto durante la sua audizione la consulente grafologica della difesa, Cinzia Altieri, ma il suo non era un riferimento filosofico. L’esperta ha presentato una relazione in cui smentisce del tutto le affermazioni della consulente dell’accusa, Susanna Contessini, e anche il giudice della corte d’assise Orazio Muscato ha giudicato “non normalissima” la circostanza durante un processo penale.
Il controesame della grafologa, in particolare, è stato davvero teso, con la procuratrice generale Gemma Gualdi che ha incalzato con le domande la Altieri, tanto che la difesa ha chiesto alla corte che la procuratrice fosse meno aggressiva. A sua volta la dottoressa Gualdi ha attaccato la relazione della Altieri giudicandola denigratoria nei confronti della sua consulente.
Il sugo della storia, come si dice, è che per questa consulente la scrittura di Stefano Binda non è coincidente con quella contenuta nella lettera “In morte di un’amica”, la missiva giunta ai genitori di Lidia Macchi che secondo l’accusa fu scritta proprio da Binda (e che sarebbe la prova del suo coinvolgimento nell’omicidio).
L’esperta della difesa ha sostenuto, in vari passaggi, che la scrittura di Binda non è quella della lettera. L’imputato ad esempio non mette i punti sulle i, come invece l’autore dello scritto anonimo. “Siamo in presenza di due automatismi molto diversi. Niente che induca, con ragionevole certezza, a dire che quella è la scrittura di Binda”. Inoltre lo stampatello tenderebbe a uniformare le scritture rendendo difficile fare attribuzioni precise.
(Il giudice Orazio Muscato)
Durante l’udienza è stato anche ascoltato come teste, tra gli altri, Attilio Fontana, ex sindaco di Varese, che allora era un giovane vicepretore onorario a Gavirate. Fontana ha ricordato che la sera del 5 gennaio 1987 fu avvisato dai carabinieri che era scomparsa una ragazza e che successivamente lo richiamarono per avvisarlo che erano state effettuate delle ricerche. “Mi dissero che sarebbero andati a controllare a Cittiglio alla collina dei drogati, come allora chiamavano quella zona, ma in serata mi giunse una telefonata che non avevano trovato nulla”.
(Una parte della consulenza della difesa)
Proprio il Sass Pinì, dove venne rinvenuto il corpo due giorni dopo, all’epoca era conosciuto come una zona di tossicodipendenti. Ma allora il corpo di Lidia fu portato lì dopo l’omicidio? Su questa circostanza, non ancora del tutto chiarita, è scontro tra accusa e difesa.
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