Officina Contemporanea

Sampas e Greenaway parlano di Kerouac e di cinema al Maga

Nella sala degli arazzi l’intervista al executor dell’eredità di Kerouac e il regista gallese

Arte - Mostre

E’ stata una domenica speciale al museo Maga di Gallarate grazie all’incontro con John Shen-Sampas, esecutore testamentario della Jack Kerouac Estate, e Peter Greenaway, una vera occasione per affrontare svariati temi interessanti: dalla gestione dell’eredità del padre della Beat Generation alle influenze dello scrittore al cambiamento della società contemporanea.
I due protagonisti hanno risposto alle domande dei curatori della mostra, che ha inaugurato sabato, Emma Zanella, Sandrina Bandera e Alessandro Castiglioni.

Sampas ha esordito spiegando come gestisce il patrimonio che ha a disposizione e cosa comporta: “Non mi sento il proprietario dei beni dell’eredità di Kerouac – i suoi vestiti, qualche manufatto, la sua vecchia tv, qualche suo disegno e appunto – ma più il curatore; ho il delicato e prestigioso compito di conservare i suoi lasciti e contribuire a diffondere le sue opere nel mondo, stando attento a non sporcare la memoria con iniziative commerciali (dice di essere stato più volte contattato da brand nel campo della moda o del marketing, ndr). Questo perché Kerouac, oltre a essere stato un grande scrittore e artista, è anche un’icona di stile”.

Alla domanda di Sandrina Bandera su come sia visto Kerouac nel mondo, e se la percezione di lui sia cambiata negli anni. Sampas risponde: “Kerouac è sempre stato visto come un personaggio interessante ma anche divisivo. O lo si ama o lo si odia, è difficile rimanere indifferenti. Certamente oggi riscuote un enorme successo tra i giovani; qualche tempo fa, quando stavamo per acquistare una casa precedentemente appartenuta a Kerouac a Greenway, scoprimmo che i proprietari non avevano idea di chi fosse. Quando lo dissero ai loro figli, decisero di interrompere immediatamente la vendita. Per i loro figli, ma non solo per loro, si trattava di un mito”.

L’ultima domanda a Sampas riguarda il suo rapporto personale con l’eredità di Kerouac: “Se devo essere sincero, non me ne sono mai curato tanto fino a marzo di quest’anno, quando è morto mio padre. Prima ero un avvocato a Wall Street e pensavo solo al mio lavoro. In seguito a quell’evento, rilessi ‘On the road’ e rimasi affascinato; cominciai a farmi domande sul mio lavoro, mi chiesi se fossi veramente soddisfatto, e se fosse giusto che la mia vita fosse solo lavoro. Finchè esisterà il lavoro, specie se d’ufficio e monotono, ci sarà sempre Kerouac e sarà sempre attuale”.

Quindi inizia l’intervista a Peter Greenaway, che esordisce descrivendo il suo ‘rapporto’ con Kerouac per poi discutere della sua idea di cinema: “Scoprii Kerouac quando avevo 16 anni. Ero sul treno da Parigi a Roma e decisi di cominciare a leggere ‘On the Road’; non mi fece una grande impressione. Più tardi, tuttavia, quando cominciai la scuola d’arte a Londra (voleva essere un pittore, ndr), entrai in contatto con la Beat Generation, grazie anche al fatto che venivano spesso in città poeti di quel movimento, tra cui Allen Ginsberg, e riscoprii il vero valore di quel libro. Quello che mi colpì di più era l’idea di movimento che riusciva a dare, questo continuo movimento che poi riscontrai nei miei viaggi in America”.

“Quando, a 16-17 anni, ebbi il primo vero impatto con la lettura”, continua Greenaway, spostandosi sul tema del rapporto tra cinema e scrittura, “mi resi conto che erano due mondi ben distinti, e ne sono convinto ancora adesso. Tendiamo ad associare al cinema personalità della scrittura, ma l’importante nel cinema è l’immagine. Io vorrei un cinema dei pittori più che degli scrittori e sceneggiatori. Il cinema non deve seguire lo storytelling, non bisogna guardare un film per seguire la storia: il cinema è immagine”.

Greenaway prosegue parlando dello stato attuale del cinema: “Il cinema è in profondo cambiamento. Quentin Tarantino, tre anni fa, disse addirittura che il cinema è morto. Sicuramente, per come lo abbiamo sempre pensato, è vero. Ora i film si guardano nella propria camera o in ufficio davanti allo smartphone o al tablet. Ma ciò non vuol dire che non si possa sopravvivere, adattandosi al cambiamento”. Lo stesso discorso si può fare, secondo il regista gallese, per le opere d’arte, al fine di mantenerle in vita: “Mi piace rivisitare le opere nelle mie
produzioni in maniera originale; adesso ho in progetto di fare dei lavori su quadri di Picasso, Velázquez e, infine, Michelangelo. Qualcuno dice, ‘Ma come si permette Greenaway di profanare le opere d’arte con l’uso della tecnologia’; be’, si sbagliano. Bisogna abbracciare l’innovazione. Solo così si può rivitalizzare l’arte. La stessa cosa vale per Kerouac; qualche anno fa qualcuno provò a realizzare un film tratto pari pari da ‘On the road’. Fu un disastro. Se Shen-Sampas, qui accanto a me, volesse fare un altro film tratto dal libro, mi propongo io: lo chiamo ‘On the road – rewrite’ e lo faccio concludere con un incidente stradale, come sono morti grandi artisti come Dean e Pollock.

Per concludere, Greenaway ha spiegato meglio il suo ambizioso progetto, di cui aveva già parlato all’inaugurazione di sabato. “Si tratta di un’installazione, grande circa come due campi da calcio, estremamente innovativa, in cui sia coinvolta una grande novità del prossimo futuro, la driverless car, l’auto senza conducente. Esse dovrebbero percorrere un circuito che rappresenti un’utopica riscrittura di ‘On the road’. Spero di poterlo portare alla luce per il 2020. Io, intanto, vi do appuntamento in quell’anno, a Pechino o Dubai”.

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Pubblicato il 04 Dicembre 2017
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