Sette agenti a processo per un “like” di troppo

Nel 2014 misero “mi piace” al post di un sindacalista che denunciava carenze strutturali ai Miogni definiti “Vespasiano d’Italia”

Avarie

Mettere un “like” a un post su facebook può valere una condanna per diffamazione? È un argomento che riguarda tutti, o quasi, perché tutti o quasi si portano in tasca il mondo, con lo smartphone che nelle sale d’attesa ha preso il posto di libri e giornali e che fa muovere velocemente occhi e pollice su e giù: metto una faccina, condivido, esprimo un apprezzamento con un “like” è cosa comune, all’ordine del giorno e leggera.

Ma può avere strascichi molto seri, se l’argomento trattato riguarda l’onorabilità delle persone o delle istituzioni.

Questa mattina a Varese vi è stato il rinvio di un’udienza per un processo interessante proprio sotto il punto di vista del (in questo caso) famigerato pollice, che 7 agenti di polizia penitenziaria hanno messo sotto ad un post di un sindacalista che nel 2014 denunciava le condizioni del carcere di Varese.

«I Miogni venivano definiti in quel post su facebook come il “Vespasiano d’Italia” e sempre lì finirono pesanti critiche sulla struttura carceraria, vetusta, e sulle carenze d’organico», spiega il difensore di uno degli indagati per aver messo “mi piace”, l’avvocato Andrea Prestinoni.

141Tour Miogni: i luoghi


Per l’apprezzamento a questo quadro poco elegante nei riguardi della casa circondariale del capoluogo, i sette agenti e il sindacalista sono a processo per diffamazione, Ma non solo. Ad essi è contestato anche il reato di “Pubblicazione o diffusione di notizie false, esagerate o tendenziose, atte a turbare l’ordine pubblico” (articolo 656 del Codice penale).

A denunciare l’accaduto, infatti, i vertici dell’amministrazione penitenziaria varesina, oggi in aula, che hanno preso atto del rinvio del processo al prossimo 22 gennaio per via delle condizioni di salute di uno degli imputati.

Il quesito di fondo intreccia questioni di pubblico interesse – le condizioni di un carcere – con elementi personali ma legati alla libertà soggettiva di espressione: fino a che punto, in un social network, ci si può spingere nell’esprimere un’opinione? E la condivisione di un post “al limite” del diffamatorio, se non già un “like”, rappresentano una responsabilità perseguibile?

La giurisprudenza di Cassazione si è già espressa, come nel caso di un cittadino straniero che inneggiava all’Isis con un like ad un video dove si facevano proseliti alla guerra santa (SENTENZA CASSAZIONE 25/9/2017)  .

da Ansa.it

Anche un ‘like’ a un video inneggiante alla jihad può costituire, nell’ambito di un più ampio quadro, un grave indizio di colpevolezza e quindi giustificare la custodia cautelare in carcere per “apologia dello Stato Islamico”. La Cassazione ha accolto il ricorso della procura di Brescia contro Gaffur Dibrani, un kosovaro poi sottoposto a provvedimento di espulsione per terrorismo. Sul caso era già intervenuta la Cassazione, annullando un primo pronunciamento del riesame contro il carcere. Nella nuova sentenza si sottolinea che per escludere il reato di istigazione a delinquere, il riesame “ha ridimensionato la portata apologetica” di due video diffusi da Dibrani su facebook, “sul rilievo della asserita breve durata, 11 giorni, della condivisione degli stessi” e “della circostanza che uno dei due video sarebbe stato diffuso con la sola opzione ‘mi piace'”. Ma questi sono “elementi non certo idonei a ridurre la portata offensiva della condotta”, vista la “immodificata funzione propalatrice” dei social.

Esistono tuttavia anche altre pronunce. «In un’altra sentenza della del 2016 è emerso che non può avere rilevanza penale il condividere una critica, se per farlo rimane nei limiti della manifestazione del pensiero», spiega invece l’avvocato Prestinoni, aggiungendo che «le condizioni del carcere dei Miogni erano da tempo note ed è risultato che nel “decreto Fassino”, risalente addirittura al 2001, si prevedeva addirittura la chiusura delle carceri varesine, per accorparle a Busto Arsizio. Quindi la critica alle condizioni della struttura, seppur non degne della migliore educazione di Oxford, rientrano nel diritto di opinione, e approvarne il contenuto non può essere considerato un reato».

Lo stesso tema veniva trattato nel 2013 in un’interrogazione a risposta in Commissione, alla Camera dei Deputati a firma Gadda, Senaldi, Marantelli.

Il processo va avanti con rito ordinario per sei degli agenti in quanto uno di essi ha chiesto l’abbreviato. Il Giudice è Alessandra Sagone, il pubblico ministero Davide Toscani.

Andrea Camurani
andrea.camurani@varesenews.it

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Pubblicato il 17 Luglio 2018
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