Fabi: salario, formazione e stop agli esuberi
A gennaio i bancari andranno al rinnovo del contratto nazionale di lavoro. Frontini (segretario provinciale Fabi): «Le aggregazioni non devono portare valore solo alle banche ma anche ai lavoratori e ai territori dove impattano»

A pochi giorni dal consiglio nazionale tenutosi a Milano in occasione dei 70 anni di storia, i vertici della Fabi (Federazione autonoma bancari italiani) tirano le somme in vista del rinnovo del contratto collettivo nazionale che si firmerà a gennaio. Lo slogan “Nulla di noi senza di noi”, usato durante il consiglio nazionale, indica una determinazione che non renderà facile la vita alla controparte. (nella foto da sinistra: Alessandro Frontini e Pier Paolo Ferri della Fabi)
«Ora che le difficoltà sono superate – spiega Alessandro Frontini, segretario della Fabi di Varese – la questione salariale diventa centrale. Sia chiaro, qui non si tratta più di recuperare l’inflazione ma un salario commisurato alla ritrovata redditività delle banche che è stata resa possibile dai lavoratori che hanno sopportato durissime ristrutturazioni».
Secondo la Fabi, è dunque necessario proseguire il dialogo con Abi (Associazione bancaria italiana) tenendo ben fermi alcuni paletti come il recupero salariale, la difesa dell’area contrattuale e il rilancio dell’occupazione. Lo stesso segretario nazionale Lando Sileoni, a proposito di retribuzioni, durante il consiglio, ha ribadito più volte ai rappresentanti delle banche che non c’è posto per un «salario a due velocità».
«A parole e nei confronti pubblici l’Abi condivide le nostre posizioni – continua Frontini – ma poi quando quelle stesse politiche aziendali devono essere applicate nei vari territori dai singoli gruppi bancari assistiamo a evidenti contraddizioni. Si tratta di logiche manageriali di corto respiro che alla fine vanno ad aggredire sempre il costo del personale. Noi invece riteniamo che le aggregazioni non devono portare valore solo alle banche ma anche ai lavoratori e ai territori dove impattano»
La partita salariale va di pari passo con quella della formazione. I sindacalisti della Fabi sono convinti che dietro la parola esuberi si sono consumati veri e propri sperperi di esperienze e competenze che potevano essere ricollocate all’interno delle stesse aziende. «Sulla richiesta di formazione – aggiunge Pier Paolo Ferri – le banche si sono sempre dimostrate un osso duro. Anziché attingere al proprio interno per ampliare le consulenze ai clienti hanno preferito creare business esterni con la conseguente espulsione dei dipendenti ultracinquantenni. La partita per la gestione degli Npl (non performing loan, ovvero crediti deteriorati, ndr) è l’esempio classico».
I bancari hanno sempre pagato di tasca loro le ristrutturazioni senza pesare sul sistema pubblico grazie al fondo esuberi costituito con i contributi dei lavoratori e delle aziende. È stato calcolato che nelle varie crisi aziendali degli ultimi due anni sono stati bruciati circa 13mila posti di lavoro per un costo di 2,2 miliardi di euro. «Grazie a questo modello, non abbiamo mai pesato sulle casse dell’Inps – conclude Ferri – L’avanzamento prepotente della tecnologia è innegabile ma questa deve servire a migliorare il servizio. Per quanto riguarda i lavoratori, noi chiediamo che non ci siano più pressioni commerciali argomento sul quale un protocollo con Abi è già stato firmato, ma su questo punto occorre che i comportamenti delle singole banche siano univoci».
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