Il grande cementificio spalanca i cancelli, in mille sfruttano l’occasione
Sabato 8 giugno la Colacem ha effettuato un "open day" a cui hanno partecipato moltissimi abitanti dei paesi circostanti. Ci siamo andati anche noi, accompagnati dal direttore dello stabilimento Mario Capolli
Caschetto in testa, gilet catarifrangente arancione e tanta curiosità. Per un migliaio di persone abbondanti è trascorsa così la mattinata di sabato scorso, 8 giugno, quando la Colacem di Caravate ha aperto i propri cancelli per il primo open day organizzato nel cementificio che si trova all’imbocco della Valcuvia e che fa parte del gruppo con sede a Gubbio che lo ha acquistato nel dicembre 1994 dalla allora Cementi Rusconi.
Una visita inusuale che ha portato le persone – moltissime quelle che vivono nei pressi del grande impianto produttivo – in alcune delle aree più caratteristiche della Colacem, a partire dall’area nei pressi della camera di combustione all’interno della quale le temperature – per la produzione del clinker, la componente base per arrivare al cemento – possono raggiungere i 2mila gradi centigradi.
L’obiettivo dell’open day è stato quello di far conoscere ai cittadini, soprattutto a quelli dei paesi circostanti, il funzionamento di un impianto di questo genere ma anche di rispondere agli interrogativi che una produzione come quella del cemento porta con sé a livello di ambiente e salute. «Siamo sempre più aperti a iniziative del genere, perché il confronto con la popolazione è molto importante e perché teniamo a sottolineare la nostra attenzione alle tematiche sulla sostenibilità» ci spiega Massimiliano Pambianco, direttore della comunicazione di Colacem, mentre ci accompagna nella sala monitoraggio, dove una serie di schermi collegati con le telecamere inquadrano in tempo reale i punti chiave dello stabilimento. «Per questo motivo nel corso dell’anno sono molte le realtà – scuole, associazioni, aziende – che fissano una visita al cementificio; stavolta abbiamo pensato di aprire a tutti per raggiungere più persone possibile».
La sala di controlloA raccontare ciò che avviene nell’impianto è Mario Capolli, umbro trapiantato da molti anni a Varese con il compito di dirigere l’intero stabilimento. Capolli, punta forte, come l’azienda del resto, sull’impiego del cosiddetto CSS, il combustibile solido secondario: «Il 25% della nostra energia deriva da CSS, il restante 75% dall’uso del carbone. Per l’Italia però il nostro dato è particolarmente alto, visto che la media nazionale si assesta intorno al 16/17%, lontanissima da quella dei Paesi, generalmente considerati molto più attenti all’ecologia, del Nord e Centro Europa come quelli scandinavi, la Germania o l’Austria. Là il CSS si usa per oltre il 50% del totale dell’approvvigionamento energetico». Il CSS è un combustibile derivato dai rifiuti urbani, principalmente di tipo plastico che non possono essere riciclati in altro modo. «Un modo – spiegano in Colacem – per ottenere recupero energetico da materiali che hanno fatto il loro corso e che, quando arrivano al forno, devono rispondere a determinati requisiti. A un cementificio serve un combustibile con proprietà ben definite, con un certo potere calorifico: anche su questo aspetto è necessaria grande attenzione».
Capolli e i suoi collaboratori citano due dati per sottolineare lo sforzo dell’azienda in questa direzione: «Ci sono più di diecimila sensori per controllare tutti gli stadi del nostro processo produttivo mentre il laboratorio svolge circa 100mila analisi ogni anno per assicurare il rispetto dei parametri di legge. La misurazione delle emissioni è in tempo reale e collegata alla rete SME regionale gestita direttamente da ARPA Lombardia. E Colacem ha investito, in questi anni, fondi cospicui per installare strumentazioni che non portano benefici al processo industriale ma che permettono di ridurre ulteriormente l’inquinamento ben al di sotto dei limiti che già erano ampiamente rispettati».
Il forno, lungo 60 metriLasciata la sala di telecontrollo, il direttore Capolli ci accompagna a vedere da vicino il forno, un enorme cilindro rotante lungo 60 metri con un diametro di 4 metri. Una linea installata nel 1991 e aggiornata in diverse occasioni in questo lasso di tempo quasi trentennale. Da lì, con un montacarichi, raggiungiamo uno dei piani alti della torre che, sulla propria sommità, sfiora i 100 metri. Da qui si può avere una panoramica a 360 gradi sull’impianto e sui dintorni, a partire dai centri abitati che circondano la Colacem (Gemonio, Cittiglio e Caravate) e dalla piccola ciminiera in località “Vallone” che segnala il punto dove aveva sede la prima impresa della zona produttrice di cemento. Da qui si vede il più a valle dei quattro laghetti di decantazione utilizzati per trattenere i “limi” provenienti dalla cava nelle giornate di pioggia intensa (quelli più a monte sono circondati dai canneti). «Lo stabilimento – conclude il direttore – occupa direttamente circa 90 persone ai quali vanno aggiunti gli autisti dei camion che quotidianamente trasportano i combustibili in entrata e il prodotto finito in uscita: la logistica è effettuata da un’altra azienda del gruppo, la Tracem, mentre qui lavorano decine di altri addetti esterni. In tutto siamo tra le 200 e le 250 persone». Una cittadella che desta da sempre curiosità e preoccupazione, e che l’azienda sta cercando di rendere sempre più sicura e trasparente.
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