La tecnologia non può essere solo al servizio della produttività
Le nuove tecnologie digitali liberano il lavoratore o lo monitorano per massimizzare la produzione? La Cgil ha affrontato il tema in un convegno
«Tutta la tecnologia digitale, dai sensori agli esoscheletri, è funzionale alla produttività, e non al benessere del lavoratore». La conclusione di Matteo Gaddi della fondazione Claudio Sabattini è il punto di arrivo di una ricerca triennale sulle aziende che hanno implementato processi di innovazione. Dalla lean production all’industria 4.0, secondo il ricercatore lo spazio di autonomia del lavoratore è sempre più compresso. «Dire che le nuove tecnologie supportano il lavoratore – ha continuato il ricercatore – significa non rappresentare la realtà, perché è evidente che in molti casi, a partire dai principali analizzati nella ricerca, cioè Fiat power train e Lamborghini, quelle tecnologie servono a intensificare il lavoro. Tutto viene monitorato ed eleborato, dalle sequenza esatta delle operazioni al controllo del serraggio delle chiavi dinamometriche, per controllare il lavoratore».
“Dalla macchina a vapore all’algoritmo. Contrattare l’innovazione digitale”, era il titolo del convegno organizzato dalla Cgil di Varese alla Sala Montanari. Una mattinata di riflessioni con gli esperti per rispondere a una serie di questioni che impattano sull’attività sindacale nell’era digitale.
La riflessione principale è quella relativa all’ambivalenza intrinseca all’innovazione tecnologica. Ci sono tempi di lavoro, pianificazione di fasi e carichi di lavoro e applicazioni di sistemi a incentivo che sfuggono alla contrattazione poiché sono determinati e posti unilateralmente da chi analizza e detiene i flussi dei dati che vengono prodotti dal lavoratore e dalle macchine sensorizzate. «Tutti noi dovremmo chiederci – sottolinea Gaddi – perché la Lean production (produzione snella, elaborata dalla giapponese Toyota, ndr) aumenta i volumi di produzione ma non l’occupazione».
È chiaro, come ha sottolineato Francesco Ilardo, responsabile Ufficio informatica della Cgil di Varese, che una parte della risposta dipende dalla capacità di leggere e interpretare i big data in modo corretto. Un tema quest’ultimo che apre una questione epocale per il sindacato. Cinzia Maiolini, responsabile dell’Ufficio lavoro 4.0 della Cgil nazionale, la sintetizza così: «Il sindacato ha esercitato in passato la sua funzione di contrattazione con caratteristiche novecentesche, ma oggi è giusto domandarci se gli strumenti caratteristici del secolo scorso restino efficaci anche di fronte alla veloce innovazione del mondo del lavoro». È necessaria dunque non solo un’alfabetizzazione digitale, ma anche una consapevolezza digitale. «Il sindacato è consapevole – continua Maiolini – che deve intervenire ed essere presente nei “luoghi” e nei “non luoghi” di lavoro, come per esempio laddove si svolge lo “smart working“, un lavoro svincolato fisicamente dalle aziende».
Una visione che si contrappone a quella di chi invece afferma che le nuove tecnologie aprono infinite praterie di libertà e di scelta del lavoratore che è nuovamente protagonista nel determinare i processi di produzione e quindi non necessariamente da inserire nella contrattazione. Rimane comunque sempre il problema di chi controlla la tecnologia, che apre un’ulteriore riflessione sulla natura stessa dell’innovazione. «La tecnica è un potere che nessuno controlla – ha detto il professor Lelio Demichelis sociologo dell’Università dell’Insubria – e dunque comporta dei rischi anche per la democrazia. Noi cediamo una parte della nostra libertà a qualcosa che non controlliamo. Ma l’aspetto più inquietante è che spesso anche chi progetta un algoritmo non sa esattamente come poi si comporterà».
«Questo processo non va subìto ma va governato – ha aggiunto Umberto Colombo, segretario provinciale della Cgil – Quindi chiederemo che tutte le parti sociali, dai sindacati alle imprese alle istituzioni, si impegnino in una azione coordinata sul territorio di Varese per una riflessione e una contrattazione sui temi dell’innovazione». Un ruolo positivo, secondo il segretario della Camera del lavoro di Varese, può essere giocato dalle università del territorio, Insubria e Liuc, perché si impegnino a ragionare sulla innovazione nelle aziende con un occhio al miglioramento delle condizioni di lavoratrici e lavoratori, anche sul fronte della sicurezza e della prevenzione.
C’è infine un paradosso, evidenziato da Elena Lattuada, segretario generale della Cgil Lombardia. «Siamo in una fase in cui il lavoro è il grande assente – ha concluso la sindacalista – E allo stesso tempo il lavoro è il tratto caratterizzante delle persone. Il lavoro non costruisce identità e dall’altra scopriamo che la gran parte delle azioni umane determina un accumulo significativo di risorse ma anche a un grandissimo controllo dei comportamenti umani. Dobbiamo ragionare su come conquistare nuovi diritti sociali che per un sindacato significa definire quali sono i luoghi e le forme su cui deve contrattare».
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