L’omaggio all’India Antica del Museo di Mendrisio
E’ un vero e proprio viaggio lungo quindici secoli la mostra dedicata alla scultura sacra indiana
Il Museo d’Arte della città di Mendrisio non si smentisce presentando ancora una volta, fino al 26 gennaio 2020, un’esposizione di qualità notevole, sia per le collezioni, sia per l’allestimento e l’illuminazione. La mostra “India Antica” non sfigurerebbe neppure nel centro di Milano o di Roma, ma si deve essere pronti al tema, che per più aspetti non è vicino alla sensibilità occidentale: il tema della scultura sacra indiana nell’arco di circa quindici secoli.
Un salto culturale attende l’osservatore ed esso è ben anticipato nel corridoio d’ingresso, dove sono esposte fotografie dell’India moderna, con il suo folklore e la sua spiritualità così diversa, almeno nelle forme, rispetto alla nostra. Poi si sale di livello e nella grande sala introduttiva del primo piano lo sguardo comincia a confrontarsi con forme e materiali inconsueti. L’ideale sarebbe essere già un po’ preparati, se non sul piano strettamente religioso almeno su quello della mitologia indiana, ma non è semplice, perché anche gli stessi nomi delle divinità presentate non hanno una pronuncia banale, non ci appartengono; l’arenaria rossa e la pietra calcarea non sono poi materiali che l’uomo alla longitudine di Zurigo o di Firenze si immagina adatti a rappresentare il sacro. A pelle li respingiamo e per arrivare al dunque dobbiamo cercare la bellezza, quel linguaggio universale capace di scrostare qualunque sovrastruttura culturale. E la Bellezza infine c’è, anche se le immagini per le quali è concessa la pubblicazione non sono quelle dei pezzi più pregevoli. Questi ultimi vanno visti sul posto.
L’opera che forse può essere considerata la più vicina al nostro modo di intendere la scultura, se non altro per il materiale utilizzato che si presta ad una buona finitura, è “L’addio al cavallo Kanthaka”, una figura in scisto grigio che rappresenta una scena della vita di Budda, risalente al II-III secolo e proveniente da Gandhara, una regione tra Pakistan settentrionale e Afghanistan nota per aver coltivato nell’antichità una pregevole tradizione artistica.
Quella che invece meglio illustra il mondo politeista degli induisti è una statua in arenaria grigia dell’VIII secolo raffigurante Shiva (ma il nome corretto sarebbe Śiva) in una delle immagini che più comunemente lo rappresentano, ovvero “il Signore la cui metà è donna”. Si tratta di un’opera proveniente dal Uttar Pradesh (India settentrionale) che mostra una figura con un solo seno e con un genere ambiguo perché itifallica, cioè come si dice di un essere che è prevalentemente maschile (e si vede) ma che ha in sé anche l’aspetto femminile. Una cosa molto curiosa per il pensiero occidentale.
Poi c’è tutto il resto, che non è poco, dalla divinità della compassione alla dea Marici, portata su un carro trainato da sette maiali; dal dio guerriero Skanda fino a Parvati, la sposa di Shiva; dai bassorilievi in arenaria rossa alle teste di Budda, anche monumentali, in stucco e pietra.
Un totale di diverse decine di sculture, in taluni casi anche di dimensioni minuscole, provenienti da collezionisti svizzeri che non hanno voluto uscire dall’anonimato, forse anche in conseguenza dell’alto valore economico delle opere che in più casi può essere associato alla pregevolezza artistica.
“India Antica”
Capolavori dal Collezionismo Svizzero
Museo d’Arte di Mendrisio
Piazzetta dei Serviti 1
Mendrisio.ch/museo
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