Pure le bocce nel gorgo del Coronavirus
L'emergenza sanitaria colpisce tutti. Campionati a squadre sospesi, con un incredibile guazzabuglio per i ricuperi delle giornate non disputate, con gli atleti che non possono far altro che aspettare

Ma credeva davvero il mondo dei praticanti il gioco delle bocce di rimanere esente dal coinvolgimento massiccio che ha coinvolto l’universo dello sport nell’emergenza coronavirus? Di non essere travolto dalla ridda di decisioni impartite: oggi è bianco, no ci siamo sbagliati è nero, anzi l’indomani è di nuovo bianco, anzi forse è vero che era ed è nero.
Se non fosse un evento enormemente serio, la tutela della salute, ci sarebbe da farci un po’ di sana ironia, ma forse la satira è più consona.
La tutela della salute: quale meraviglioso manto con il quale avvolgersi dopo esserselo negligentemente lanciato sulle spalle, magari condito con della demagogia, alla quale è arduo rinunciare, perché l’enfasi che l’accompagna è di sicuro impatto.
Così, nelle incertezze si terrorizza e, anche se nessuno lo dice apertamente, si evoca coi fatti la peste bubbonica del 1630, che fece strage in Italia e in Europa, seminando immagini funebri che non potevano non investire lo sport.
Da qui discende che l’immagine proiettata all’estero è: “Italiano uguale appestato” e non è molto bello trovarsi addosso questa etichetta. Un episodio. Un italiano è su un autobus in territorio francese, riceve una telefonata, risponde. In italiano, naturalmente. Ma cosa gli viene in mente! Doveva parlare in inglese, in tedesco, in finnico, in sanscrito, no lo sprovveduto si esprime in italiano! E intorno a lui la gente assiepata intorno si scosta, si allontana: “vade retro satana!”.
Il mezzo pubblico era stracolmo di studenti – vanno a scuola lì – di anziani, di gente che sta vivendo normalmente: si vede che il virus, una volta superata la frontiera, cambiata la lingua, perde anche la sua forza distruttiva, si placa, si addomestica.
Precisiamo: quell’italiano ero io. Se poi vogliamo spostarci sul tennis è sintomatico che a Cagliari si giochi la Coppa Davis in uno stadio deserto, a Lione, in Francia, non distante decine di migliaia di chilometri, ci gioca contemporaneamente la nostra Giorgi davanti a spalti gremiti: ma cosa succede?
“Padre, perdona loro che non sanno quel che fanno”. Noi italiani siamo i migliori, i più bravi! È vero siamo riusciti a scalzare i cinesi, siamo noi, per il mondo, i primi appestati. Alleluia! La salute è un bene assoluto, mancherebbe che qualche dissennato non condividesse questo dogma, la perdita di una sola vita per incuria, leggerezza o trascuratezza, sarebbe imperdonabile.
Non dimentichiamo che l’epidemia di asiatica del 1957 procurò circa quattro milioni di morti, ora per fortuna, in tutto il mondo stiamo parlando di ben altre cifre. E le bocce, le abbiamo perse per strada? Anche loro nel caos più completo – i decreti non si discutono, si attuano -. Campionati a squadre sospesi, con un incredibile guazzabuglio per i ricuperi delle giornate non disputate, con gli atleti che non possono far altro che aspettare, gare serali dello sport per tutti già iniziate e piantate lì, altre già programmate che sono annullate in attesa di tempi migliori, sponsor che fanno i bagagli e se ne vanno – come fosse facile trovarli -, Società che possono sì far allenare – a porte chiuse, perbacco! – i propri agonisti, ma i presidenti devono assumersi in toto la responsabilità di far rispettare le indicazioni decretate che sono praticamente identiche, sia che si parli di stadi di decine di migliaia, sia di poche decine di appassionati.
Sembra però che la prescrizione di far mettere la mascherina alle bocce sia decaduta, ma prenda sempre più forza quella di far immergere, prima di ogni giocata, il panno per pulirle in una soluzione di amuchina.
La cosa appare di difficile attuazione – il secchiello con il liquido dove va messo? -, anche per il rifiuto delle bocce che non amano sentirsi bagnare. E se poi loro viene un raffreddore? Consoliamoci, secondo alcuni virologi – fossero una volta tanto tutti concordi “Cént coo, cént cràp” – con l’avvento delle temperature più alte connesse con il progredire delle stagioni, il virus, che non sopravvive oltre i 26/27°C, dovrebbe, se non sparire, scendere a più miti atteggiamenti: così qualcuno potrà affermare trionfalisticamente di aver salvato l’Italia.
PILLOLE DI BOCCE.
Le hanno ingoiate tutte, non ce ne sono più!
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