“Recluso in casa senza notizie. In attesa del tampone per far finire questa malattia”

Alessandro Mele ci aveva raccontato in toni drammatici l'escalation della malattia. A 18 giorni dalle dimissioni dall'ospedale è stato sottoposto a tampone e racconta la lunga attesa in solitudine

ospedale varese

« Vorrei solo riabbracciare mia figlia. E mangiare a tavola con loro». Dopo 50 giorni, Alessandro è ancora prigioniero del coronavirus che ha messo a repentaglio la sua stessa vita.

Alla fine di una lunga e difficile degenza nel reparto infettivi dell’ospedale di Varese, in lotta per cercare di non farsi scippare il respiro dal Covid, finalmente Alessandro il 28 marzo scorso ha vinto la sua battaglia ed è tornato a casa.

«Mi sono, però, reso subito conto dell’enorme differenza che c’è tra ospedale e territorio. Da una parte la perfezione con medici, infermieri e personale in genere disponibili, attenti, rincuoranti. Da quando sono tornato nella mia stanza di 9 metri quadri, chiuso e a distanza, non ho mai sentito una telefonata da parte di Ats Insubria anche solo per sapere come stavo».

Alessandro non capisce come mai quanto annunciato all’uscita dall’ospedale non si sia avverato: « Mi avevano detto che sarei stato contattato da Ats Insubria, avrei ricevuto le istruzioni sul comportamento da tenere, anche la tanto agognata data del tampone per far finire finalmente questa mia brutta avventura. Invece nulla. Il mio vicino di letto, uscito dall’ospedale il giorno prima, in due giorni aveva ricevuto ogni comunicazione. Io le aspetto ancora…».

Dopo 13 giorni di attesa vana, Alessandro decide di scrivere un’email di protesta: « Dal giorno successivo ho ricevuto ben tre chiamate da Ats. Operatori diversi di diversi distretti che mi chiamavano e proponevano date e luoghi differenti per sottopormi al tampone.  L’ultima chiamata l’ho ricevuta mezz’ora dopo che ero stato sottoposto al test nel tendone allestito fuori dall’ospedale di Gallarate. Non capisco perché tanta confusione. Probabilmente manca organizzazione e una corretta circolazione delle informazioni».

Saper di aver sconfitto il virus è ora, per Alessandro, un bisogno emotivo: « Nessuno parla mai della fragilità mentale che una reclusione così lunga crea nelle persone. Non siamo abituati a vivere reclusi nelle nostre case. Io ero felicissimo di rientrare da mia moglie e mia figlia. Ma ancora oggi, dopo 18 giorni, le posso vendere solo dal balcone. Mi lasciano fuori il pranzo e la cena e poi ci colleghiamo in video chiamata per far finta di mangiare di nuovo insieme. Sono recluso, non posso andare in cucina, non posso andare in salotto… e non posso riabbracciare la mia bambina».

Questa mattina alle 11, Alessandro ha fatto i tamponi. Ora deve attendere: arriveranno martedì il primo e giovedì il secondo. E, forse, sarà davvero finita

di
Pubblicato il 15 Aprile 2020
Leggi i commenti

Commenti

L'email è richiesta ma non verrà mostrata ai visitatori. Il contenuto di questo commento esprime il pensiero dell'autore e non rappresenta la linea editoriale di VareseNews.it, che rimane autonoma e indipendente. I messaggi inclusi nei commenti non sono testi giornalistici, ma post inviati dai singoli lettori che possono essere automaticamente pubblicati senza filtro preventivo. I commenti che includano uno o più link a siti esterni verranno rimossi in automatico dal sistema.

Segnala Errore

Vuoi leggere VareseNews senza pubblicità?
Diventa un nostro sostenitore!



Sostienici!


Oppure disabilita l'Adblock per continuare a leggere le nostre notizie.