“La mia esperienza con il Covid in pronto soccorso, ecco cosa ho visto in un via vai incessante di ricoveri”

Il racconto di Fabrizio Bossi colpito dal Covid-19 e ricoverato per alcune ore al Pronto soccorso dell'ospedale di Circolo di Varese. "Il via vai di ricoveri è incessante. Tanti troppi giovani"

tenso struttura protezione civile

“Vorrei che mi leggeste, la mia è una testimonianza che mi sento di rendere con totale onestà”. Pubblichiamo Il racconto di Fabrizio Bossi, colpito dal Covid-19, e ricoverato per alcune ore al Pronto soccorso dell’ospedale di Circolo di Varese:


Ho contratto il Covid, da ieri il mio tampone è positivo. Ieri mattina avendo valori di saturazioni tra 88/89 invece di 95/97 (i satutimetri casalinghi sono mediamente precisi) su consiglio del mio medico chiamo l’ambulanza. Il tempo di mettere due cose in una borsa e arrivano. Dove mi porteranno? Mi provano pressione è a posto, mi chiedono se ho difficoltà di respirazione, no, mi fanno il saturimetro 91 e (per fortuna) mi dicono che c’é posto all’ospedale di Circolo di Varese, sarei potuto finire a Bergamo.

Un breve tratto a sirene spente se non per un attimo al semaforo ed entriamo nell’area per malati di Covid dell’ospedale di Varese. Capisci subito che sei in una struttura dove la gente soffre, con grande dignità ma qui la malattia c’è e mostra i suoi tristi rumori, forte tosse, dolori, febbre alta L’infermiera gentilissima mi chiama subito Fabrizio, mi rifà la saturazione, mi chiede se respiro bene, mi prova polso e pressione e mi toglie il sangue la prima volta, scusandosi che avrebbe bruciato un po’.

Mi rimandano nella prima sala quella dove gl’infermieri, in bardatura covid, consegnano i malati che arrivano con le ambulanze. Io non ho un letto, mi fanno sedere su una fredda sedia di ferro proprio di fronte a malati distesi sui lettini con l’ossigeno e flebo. Sono solo sei persone, sembrano più vecchi di me ma in realtà sono minori. I medici chiedono loro che sintomi hanno, da quanto sono iniziati i farmaci presi, esattamente come con me. Direi una calma semi apparente.

Arriva mezzo giorno, sono seduto da oltre tre ore su quella sedia, unico senza ossigeno, non sto male ma ho fame, da molti giorni che mangiavo pochissimo, ho fame. Non mi portano nulla ed io non chiedo nulla. Non ho bevuto neppure un goccio d’acqua e guardo con invidia la bottiglietta di San Bernardo che hanno i pazienti davanti a me. Non sto criticando si vede che la regola era così.

Arrivano le due. Lo scenario è cambiato rapidamente. Arrivano quattro ambulanze di fila e scaricano quattro persone, età massima 38/40, febbre a mille e tosse alle stelle, cianotici in viso, soffrono tantissimo. Due li mettono in lettini minuscoli davanti a me. Nel frattempo spostano in reparto, subito nella porta dopo, due pazienti anziani che erano lì dal mattino. Arriva un infermiere per me. Mi chiede da quanto sono iniziati i miei sintomi, come mi sento e mi dice che più tardi sarò dimesso perchè potrò continuare le cure a casa.

Passa un’ora, arriva un’infermiera e mi fa il tampone. Sono da sei ore seduto su quella sedia di ferro con la schiena a pezzi. Il via vai di ricoveri è incessante. Tanti troppi giovani. Arriva il radiologo, mi fa sedere su un’altra sedia e mi fa la lastra al torace. Ritorno sulla sedia di ferro.

Ho perso il conto delle ore. Finalmente si libera un lettino (postazione 6H) e l’infermiera mi dice che posso distendermi lì. Mi sento un re su una brandina di venti centimetri più corta della mia altezza. Subito di fianco mi mettono un ragazzo meno di trent’anni sembra un po’ mio figlio. È sudato fradicio, respira molto male e abbaia come un lupo. Mi vengono le lacrime agli occhi. Mi fanno un altro prelievo di sangue. Puntura d’eparina nella pancia e mi azzardo a chiedere una bottiglietta d’ acqua che gentilmente mi portano subito.

Proprio di fianco alla mia postazione oltre un piccolo corridoio c’è il TRIAGE una vetrata dove medici ed infermiere controllano costantemente i dati in loro possesso e anche ci controllano a vista. A casa mi continuano a chiedere come va, ormai é quasi mezzanotte. Mi riprovano febbre e saturazione. Quando meno me l’aspettavo arriva il medico. Mi dice che il tampone è positivo, ho il covid, ma i miei polmoni sono sgomberi, non ho polmonite. Di chiamare mio figlio che mi avrebbero dimesso da lì a pochi minuti. Il referto, le cure da effetture e la lettera di dimissione da mostrare ai Carabinieri se c’avessero fermato pregandoli di non farmi prendere freddo. Puntualmente in piazza Montegrappa c’hanno fermato. Documenti d’identità, patente per mio figlio, libretto dell’auto, più interessati alla 500 Abarth di Renzo che al mio stato di salute. Mi chiede scherzando se fossi parente del Senatur, mai stato e mai voluto essere, e mi dice che al sud curano meglio. Capisco il suo campanilismo e mi fa un pò sorridere ma siamo fermi alla una di notte da 35 minuti con le portiere aperte. Tutto a posto auguri di pronta guarigione.

Arrivato a casa ho sbafato un piattone di minestrone ed un bel bicchiere di vino rosso poi mi sono rinchiuso nella mia quarantena che durerà due settimane poi il prossimo tampone. Mi sento bene. Ecco mi sono sentito in dovere di raccontare la mia esperienza. Ma soprattutto di attenervi al massimo della prudenza e di dire ai vostri figli che il virus colpisce sempre più i giovani che non si deve assolutamente scherzare. Quella di ieri è stata l’esperienza di essere in un Lazzaretto, una tristissima esperienza. Vi abbraccio amici come sempre con tanto affetto.

Fabrizio Bossi

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Pubblicato il 12 Novembre 2020
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  1. diego_zappaterra
    Scritto da diego_zappaterra

    Ringrazio il signore dell’articolo per l’importante testimonianza e gli auguro pronta guarigione quanto prima. Da notare il solito comportamento assurdo di quando l’hanno fermato al posto di blocco. Giusto per fare vedere che stanno controllando, però poi quelli che corrono in auto nelle provinciali o che sorpassano in modo pericoloso sono sempre liberi senza problemi.

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