Anche il teatro delle marionette cerca una via d’uscita dal Covid

L'artista varesina Nadia Milani racconta le difficoltà del teatro di figura, le soluzioni creative per sopravvivere, la speranza della ripartenza

Generica 2020

Anche il settore del teatro di figura – la forma teatrale che utilizza burattini, marionette, pupazzi e ombre come protagonisti sulla scena –  è stato duramente colpito dalla chiusura di luoghi culturali dovuta alle restrizioni anti Covid (foto: Flickr Nadia Milani).

Nadia Milani è un’artista varesina: affascinata fin da bambina dal movimento di marionette, figure e burattini, cresce consapevole che il teatro è il suo futuro. Dopo alcune esperienze di formazione, nel 2003 viene selezionata per un corso di alta formazione per operatori esperti nei linguaggi della figura e dell’animazione su nero, un’arte teatrale che permette all’animatore di figure di diventare invisibile agli occhi dello spettatore, grazie a particolari tagli di luce, e ad abiti di velluto. In 18 anni di lavoro ha partecipato in qualità di performer a molte produzioni, sia per adulti che per ragazzi. Dal 2017 ha iniziato con le sue prime regie. Per 17 anni, fino all’anno scorso, ha lavorato presso il Teatro del Buratto di Milano. Attualmente collabora con diverse compagnie sparse sul territorio nazionale.

Ha raccontato a Varesenews del suo lavoro e della sua passione per il teatro, della necessità per gli artisti del suo settore di reinventarsi, ma soprattutto di tornare a lavorare presto nei teatri: in sicurezza, con il calore e l’importantissima presenza del pubblico nelle sale.

Che tipo di spettacoli propone e che temi trattate?
„Per scelta mi sono dedicata al Teatro per l’Infanzia, specializzandomi per la fascia compresa tra i tre e i sette anni. Credo molto nella funzione educativa del teatro, credo che sia un luogo che permette un cambiamento istantaneo. Nei miei spettacoli, non ci sono dei temi prestabiliti, dipende dall’urgenza di quel preciso momento, dalle cose che sento di dover dire. Uno dei lavori a cui sono più affezionata si chiama “Becco di Rame” e parla della diversità, della disabilità e dell’importanza di essere accolti ed accettati nonostante una fisicità diversa o un’abilità diversa rispetto a quelle ritenute “normali”. In questo periodo sto lavorando a tre progetti: “9 Gesti” uno spettacolo prodotto dall’Associazione di Circo Contemporaneo Quattrox4 di Milano, che vuole unire il linguaggio del circo contemporaneo e del teatro di figura per parlare ai bambini delle infinite forme d’Amore attraverso i gesti in cui esso sa incarnarsi; “Relazioni Necessarie” ideato dalla giovanissima Valentina Lisi per cui curo la regia e parte della scrittura drammaturgica, un progetto per gli adolescenti che parla di relazioni familiari con un linguaggio ironico, un grande libro pop-up, sagome di carta con fotografie reali e un approccio all’argomento capace di toccare tutti, sia i ragazzi che i genitori; infine, “Alla ricerca di Cane nero”, titolo ancora provvisorio, della compagnia milanese Drogheria Rebelot, spettacolo che racconta la paura che tocca i bambini e che spesso i genitori sottovalutano o fanno fatica a comprendere, finché non ne sono toccati loro stessi».

Che tipo di pubblico vi segue?
«Gli spettacoli per l’infanzia sono seguiti principalmente da un pubblico di famiglie durante le repliche nei week-end e di Scuole che portano i bambini a Teatro durante la settimana. Ovviamente in questo momento è tutto immobile a causa della pandemia e delle restrizioni. Gli spettacoli per adulti invece, sono principalmente seguiti da amatori e da curiosi del genere, soprattutto perché penso che sia un mondo che fa fatica a raggiungere il grande pubblico, soprattutto per mancanza di conoscenza».

In Italia il teatro dei burattini conta una audience vasta come in Francia?
«Proprio per quello che stavo dicendo poco fa, no. L’Italia, purtroppo, ha un’idea del Teatro di Figura che si limita alle forme di teatro tradizionale di Burattini in baracca o di Marionette a filo, entrambe arti teatrali di eccellenza ma che purtroppo nella maggior parte dei casi finiscono con l’essere erroneamente considerati “spettacolini per bambini”. Il Teatro di Figura è molto più di questo. È un tetro di ricerca e di sperimentazione. A livello mondiale ci sono professionisti che creano cose incredibili, sia per ragazzi che per adulti. Le figure ti permettono di parlare di qualsiasi argomento: possono alleggerire metafore cupe, senza banalizzare, né offendere, offrendo nuovi sguardi su tematiche importanti. Sono un mezzo straordinario che viene utilizzato molto anche nell’arte terapia, in situazioni di disagio, nelle carceri. Sono un veicolo capace di farsi carico di messaggi importanti, con cui si innesca un meccanismo di fiducia immediato e profondamente sincero. Le figure non raccontano bugie. È come se avessero sempre lo sguardo di un bambino. Io lavoro anche perché quest’arte venga conosciuta e riconosciuta».

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Il teatro di figura italiano come sta cercando di “difendersi” dalla crisi del settore dovuta alle restrizioni?
«Come tutto il resto del comparto Teatrale italiano, cerca di resistere. Cerca di utilizzare i mezzi tecnologici seppur con la consapevolezza che un atto partecipato di questo tipo non può vivere bene nel digitale. Il Teatro ci aspetta e il desiderio di ognuno di noi è solo quello di tornare ad abitare i nostri luoghi con maggior consapevolezza e sapendo che il lavoro da fare di ri-sensibilizzazione del pubblico sarà enorme. Una cosa secondo me molto positiva, però, è avvenuta: paradossalmente questa distanza ci ha offerto l’occasione per stringere relazioni nuove, consolidando quelle già presenti, ognuno di noi si è aperto alla ricerca di reti solidali con cui sostenersi e confrontarsi. Soprattutto Unima Italia, l’Unione Internazionale della Marionetta, organismo mondiale che ha dato vita alla prima struttura internazionale di associazionismo teatrale, ha organizzato per tutti i suoi soci, incontri di discussione, di riflessione, di aiuto anche per capire i vari Decreti, dando spazio a un nuovo modo di comunicare. Tra di noi, abbiamo avuto occasione e tempo per conoscerci. Non è una cosa da poco. Spero non si torni al sistema teatrale italiano pre-pandemia, che questo cambiamento apra gli occhi a tutti e che si sia sentita la nostra mancanza. Ma soprattutto, spero che lo Stato italiano, che ci ha un po’ dimenticati, sappia farsi carico di una ripartenza anche per il nostro settore culturale».

Esiste la possibilità per gli artisti del settore di riuscire a “reinventarsi”?
«Credo che gli artisti siano abituati a reinventarsi di continuo. Questa volta è sicuramente più dura, ma la nostra abitudine al cambiamento e alla resistenza mi fa dire di sì. Ci sono molte iniziative in tutto il territorio nazionale: c’è chi fa spettacoli on line, chi organizza laboratori e workshop su zoom, c’è chi ha programmato il suo Festival teatrale su piattaforme digitali. L’attore Ippolito Chiarello, ad esempio, ha ideato il “Barbonaggio teatrale Delivery” e con la sua bicicletta va in giro per la città di Lecce e porta i suoi spettacoli nei cortili. Adesso la sua iniziativa si sta diffondendo in tutta Italia. Noi operatori del teatro di figura ci siamo dedicati ai racconti video. Siamo abituati al racconto per immagini, quindi credo sia stato un processo naturale. Abbiamo utilizzato la stopmotion, la grafica, i disegni, ognuno a modo suo. Abbiamo imparato cose nuove, è stato stimolante, abbiamo fatto esperimenti. Tutto questo tornerà utile ma il Teatro, come dicevo prima, è un’altra cosa. Non ci arrendiamo, questo è certo».

Il direttore del festival mondiale del teatro dei burattini, il World Puppet Theatre Festival, la cui 21esima edizione dovrebbe tenersi dal 17 al 26 settembre 2021, ha dichiarato di credere nella possibilità dello svolgimento dell’evento nonostante le restrizioni. Che importanza ha questo festival per il vostro settore e soprattutto che impatto avrebbe sul vostro lavoro dopo l’anno di chiusura dei luoghi culturali che abbiamo appena vissuto in Italia?
«Sono appena tornata da Charleville Mézières dove con il progetto “Alla ricerca di Cane nero” abbiamo vinto un bando di residenza artistica di dieci giorni grazie al Festival mondial des Théâtres de Marionnettes. Charleville è una cittadina straordinaria, che ha creduto fortemente nella potenzialità del Teatro di Figura ed oggi ne è capitale mondiale. Fin dalla sua prima edizione, gli obiettivi del festival sono stati sia di offrire agli spettatori una finestra sull’arte del teatro di figura nel mondo, sia di consentire alle Ardenne di beneficiare di questa apertura al mondo. Il festival vanta 150.000 visitatori, numero tre volte superiore alla popolazione locale. Per tutti noi è fondamentale e quest’anno lo sarà ancora di più. Se il Festival si terrà, darà a tutti noi la forza di ricominciare, poiché non si tratta solo di un luogo di incontro e confronto: è un’intera città che si anima, un’intera comunità che ospita artisti e spettacoli. È il nostro Paese dei Balocchi. Una macchina enorme, i cui benefici economici sono stimati intorno ai 4,7 milioni di euro. Perché una cosa che spesso si dimentica è che il Teatro, tutto, è un’arte completa, capace di muovere le persone, le arti, le anime, i pensieri…ma anche l’economia».

Ha in programma nuovi progetti? Qualche idea che riguardi anche Varese?
«Quest’anno mi ha dato il tempo di pensarne milioni! Attualmente lavoro nelle tre produzioni di cui parlavo prima, ma all’attivo e nel cassetto ne ho altrettante. Continuo ad insegnare animazione di figure e teatro su nero presso ANIMATERIA, corso di formazione per operatore esperto nelle tecniche e nei linguaggi del teatro di figura desiderato fortemente dal Direttore pedagogico Fabrizio Montecchi e da Teatro Gioco Vita di Piacenza. Nel frattempo, continuo con la mia proposta di workshop e laboratori di ricerca e sperimentazione. Il festival “Arrivano dal Mare!” di Ravenna sta organizzando un mio laboratorio di Teatro su Nero che si pone la grande scommessa di voler trattare l’”Inferno” di Dante Alighieri per il Settecentesimo Anniversario della sua morte. Rigorosamente in presenza. Se sarà possibile farlo, sarà bellissimo. Per quanto riguarda Varese, anche se amo viaggiare, ho un rapporto imprescindibile con le mie radici. Vorrei poter fare di più per la mia città. Insieme alle mie sorelle abbiamo fondato l’associazione 23&20, con cui spero in futuro di poter realizzare alcuni progetti che ho in mente. Per la mia Città vorrei riuscire a dar vita ad una rassegna teatrale dedicata all’ Infanzia, proponendo laboratori, eventi ma soprattutto spettacoli sì di tradizione ma anche di ricerca, aprendo le porte alla contemporaneità di respiro Europeo».

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Pubblicato il 27 Gennaio 2021
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