Openjobmetis compie 20 anni e punta al miliardo di fatturato

Intervista all'amministratore delegato Rosario Rasizza: "La fatica di questi vent’anni professionali non riesco a sentirla. È come quando ti fanno assaggiare un piatto buono e poi chiedi di servirtelo. Ne posso fare altri venti"

rosario rasizza

L’agenzia per il lavoro Openjobmetis spa compie i suoi primi vent’anni di attività. Un anniversario che la società, guidata dall’amministratore delegato Rosario Rasizza, festeggia con l’acquisizione di Quanta spa, tra le principali agenzie per il lavoro operanti in Italia, confermando così una crescita basata su acquisizioni strategiche e coronata da un primato: Openjobmetis, quotandosi sul segmento Star di Borsa italiana, è stata la prima agenzia a portare il lavoro in borsa.

Nel post pandemia in che direzione andrà la crescita della vostra agenzia?
«Le aziende devono necessariamente mettersi a competere. A maggior ragione nel nostro settore che ha un mercato caratterizzato dalla presenza di grandi società. Con la recente acquisizione di Quanta, Openjobmetis raggiunge quota 700 milioni di euro e punta al miliardo di fatturato. Questa crescita costante ci permette di stare sul mercato in modo competitivo».

Intelligenza artificiale, robotica, biotecnologie e nanotecnologie stanno trasformando sia quello che facciamo sia come lo facciamo. Come si inquadra il lavoro del futuro nella trasformazione tecnologica in atto?
«La tecnologia impatta su diversi aspetti a partire dalle modalità con cui si lavora. Oggi si può lavorare da casa e in questa pandemia lo stiamo facendo, anche in questo preciso momento. La tecnologia fa nascere nuove professioni e mestieri. Ma in alcuni casi non può sostituire la presenza fisica delle persone, perché il piacere di condividere la presenza diventa un elemento imprescindibile. Ci siamo riempiti in fretta la bocca con la parola smart working, perché allora non l’abbiamo fatto prima? Il coronavirus ha certamente accelerato questo processo, ma io continuo a dividere il mondo in due: utilizzo la tecnologia per sentire il cliente e parlare di lavoro e vado a cena in presenza con il partner, l’amico con cui devo condividere altro, anche riguardo alla sfera personale. Il bisogno di socialità dell’essere umano non può essere sostituito totalmente dalla tecnologia».

C’è un disallineamento evidente tra le skills offerte oggi dalla scuola e quelle che saranno richieste in futuro. Cosa si deve fare per riallinearle?
«Oggi se vuoi stare nel mondo del lavoro la tecnologia non può che essere il tuo miglior alleato. A volte ci arrabbiamo con la tecnologia, ma spesso quella rabbia riguarda la nostra incapacità nel gestirla con competenza. La scuola in questo senso ha fatto passi da gigante, pensiamo alla didattica a distanza per i bambini che per vari motivi sono impossibilitati a raggiungere fisicamente l’aula. Ma la scuola, che su questo fronte si è data una mossa, difficilmente formerà persone fruibili immediatamente dalle aziende, cioè già belle e pronte per il mondo del lavoro. L’Unione degli industriali della provincia di Varese di questo tema ne ha fatto da tempo una battaglia con importanti iniziative di formazione».

Come cambierà l’agenzia del lavoro in futuro?
«Ci sono mestieri che avranno sempre bisogno della presenza. Pensiamo al tornitore, al pasticcere e al pizzaiolo, sarà ben difficile che lavorino in smart working. E poi ci sono una serie di lavori che si possono fare anche in smart working, sapendo però che vengono meno alcuni aspetti fondamentali nella crescita professionale di una persona. Lavorare in presenza con altre persone è un arricchimento continuo perché contamina le idee e genera creatività, cioè trasforma il lavoro. Questa dimensione, che nel lavoro è necessaria, lavorando da casa e da soli, non c’è. La tecnologia serve sicuramente a non perdere tempo, ma per esempio fare un brainstorming in Zoom è più difficile che farlo di persona, perché non ti consente di realizzare appieno quella sensazione di partecipazione che la condivisione dello spazio, e non solo del tempo, ti dà. Quando dovevo andare a Milano per l’acquisizione di Quanta, mi pareva molto strano il solo fatto di rimettere camicia e cravatta e fare il trolley per dormire fuori, avevo la sensazione netta di rinascere. Lo smart working non è il modo di lavorare naturale. È certamente nuovo per molte aziende, ma non determinante».

In una società digitale c’è ancora spazio per gli umanisti quando si parla di lavoro?
«Sempre di più. Se l’azienda non impara a comunicare, avere la connessione più bella del mondo non serve a nulla. Via Zoom non posso fare molte cose che caratterizzano il rapporto tra persone, anche del gossip o del chiacchiericcio che fa parte della nostra essenza di animali sociali. C’è un linguaggio anche non verbale che nella relazione con l’altro conta moltissimo. Chi fa filosofia non si deve deprimere, questo ce lo insegna un grande imprenditore italiano come Brunello Cucinelli. È vero che a volte usiamo l’espressione “non stare a far filosofia”, per dire di non fare qualcosa che non serve, ma la filosofia serve eccome e superare il numero fa bene alla testa e al cuore».

Come pensa stia procedendo l’iniziativa Garanzia Giovani e quali sono le politiche attive che contano?
«È naufragata come sono naufragate quasi tutte le iniziative di politiche attive per il lavoro. Se mettiamo Rosario Rasizza in una sala operatoria per salvare la vita di una persona, le probabilità che la salvi sono pochissime. Il tema della politica è sempre lo stesso: mettere qualcuno che sia capace di interloquire con chi è competente. Perché non chiamare un’associazione di categoria che è in grado di rappresentare le esigenze dei suoi associati? È mai possibile che, in un momento così delicato, nessuno ti convochi? Noi che ci occupiamo professionalmente di lavoro, non siamo mai stati chiamati dal Governo. Se poi parliamo di alcuni temi come il reddito di cittadinanza, non sono per niente contrario a dare dei soldi a chi è in difficoltà. Però mi chiedo perché un giornalista riesca a scoprire il furbo e non invece chi sarebbe preposto a farlo. Premesso che bisogna sapere esattamente a chi dare i soldi e come individuare queste persone, legare il reddito di cittadinanza all’incentivo dell’assunzione con contratto di lavoro subordinato a tempo pieno e indeterminato è come mettere una pistola alla tempia dell’imprenditore. Per usare una metafora possiamo dire che non c’è nessuna moglie che si sposa senza prima essersi fidanzata».

Ha la percezione che le professioni legate ai temi ambientali e di sostenibilità siano in crescita? E come sono orientate queste richieste, derivano principalmente da obblighi normativi o da innovazioni imprenditoriali?
«Sono in crescita e questo dipende dal fatto che le imprese stanno facendo innovazione. Il tema ambientale non è un obbligo di legge ma è un megatrend come lo è la green economy e la mobilità sostenibile. In alcune aziende questi sono temi ormai inclusivi. Openjobmetis  sarà la prima agenzia di lavoro con certificazione Esg (Environmental, Social, Governance che sta indicare tutte quelle attività legate all’investimento responsabile, ndr). Si tratta di azioni e scelte concrete, come interrogarsi su quali lampade vadano sostituite per migliorare l’efficienza energetica delle nostre filiali e adottare la mobilità sostenibile per i nostri agenti. Ecco, noi assumeremo una persona che si occuperà di tutto questo. Sta crescendo una coscienza ambientale, perché l’italiano non è stupido e preferisce non essere soggetto ad imposizioni: se l’imprenditore non è obbligato, reagisce meglio. Anche la formazione segue i macrotrend. Ci sono figure storiche, direi evergreen: chi fa le paghe, il saldatore o i tubisti, lavoratori che scavano la condotta e poi posano i tubi, un lavoro che richiede determinate competenze. In Italia non ci sono 300 tubisti, e per trovarli devo andare in Romania. Quanta è andata in un centro profughi, dove si riuniscono gli aventi diritto alla cittadinanza, per lo più rifugiati politici, per trovare chi aveva quella professionalità. Una volta individuati, li ha formati e poi dislocati alle varie aziende del settore».

Qual è il ricordo più bello di questi primi 20 anni con Openjobmetis?
«Quando sono andato dal notaio per la costituzione della società. Era una mattina fredda e con il sole, mentre facevo il tragitto da casa mia ad Angera mi dicevo: “Ce l’ho fatta ho realizzato la mia agenzia per il lavoro”. La fatica di questi vent’anni professionali non riesco a sentirla. C’è ancora l’energia dell’inizio. È come quando ti fanno assaggiare un piatto buono e poi chiedi di servirtelo. Ne posso fare altri venti».

Dal licenziamento alla Borsa, le vie dell’imprenditore sono infinite

IL LAVORO DEL FUTURO

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Pubblicato il 03 Febbraio 2021
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