Metamorfosi urbana: c’era una volta via Volta

Sesta tappa della rubrica di Fausto Bonoldi, che racconta come si è trasformata la centralissima via

metamorfosi urbana: c'era una volta via Volta

Ogni lunedì, con una passeggiata virtuale, la rubrica “Metamorfosi urbana” vi racconta le trasformazioni che ha subito Varese negli ultimi cento anni, da quando cioè è diventata capoluogo di provincia. A firmarla è Fausto Bonoldi, storica firma del giornalismo varesino che su questo argomento, che tratta da anni nel gruppo Facebook La Varese Nascosta,  ha scritto anche un libro, edito da Macchione, dal titolo “Cara Varese come sei cambiata

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Metamorfosi urbana, sesta puntata: c’era una volta via Volta

C’era una volta la vecchia via Volta, sacrificata nel Ventennio alla riedificazione di parte del centro storico e alla volontà di ampliare l’asse viario che, attraversando il cuore di Varese, mettesse in collegamento la nuova autostrada, inaugurata nel 1924, con le direttrici per le valli e il Lago Maggiore.

Nella foto d’epoca, che mostra in fondo la piazza Porcari, oggi Monte Grappa, si notano le vetrine della cartolibreria Cairoli, un’istituzione culturale della città, dato che a Giuseppe Cairoli si deve la pubblicazione di cartoline e opuscoli che ci hanno lasciato una testimonianza preziosa della vecchia Varese.

metamorfosi urbana: c'era una volta via Volta

Tutti gli edifici della via Volta ottocentesca furono demoliti negli Anni Trenta ma mentre il lato sinistro (guardando da via Manzoni) fu subito riedificato, dall’angolo con via Bernascone (Palazzo Sommaruga, progettato dall’ingegner Andrea Pedoja nel 1935) all’angolo con la nuova piazza Monte Grappa (Palazzo Castiglioni, progettato dall’architetto Mario Loreti nel 1937), sul lato opposto le demolizioni lasciarono uno spazio libero comprendente il corso Roma, una vera e propria piazza davanti alla chiesa di San Giuseppe.

metamorfosi urbana: c'era una volta via Volta

Il grande spazio creato dal “piccone risanatore” davanti all’edificio sacro risparmiato, a differenza di altri, dalle norme ecclesiastiche emanate dall’imperatore asburgico Giuseppe II alla fine del Settecento, fu ingentilito con filari di alberi e aiuole fino a quando, nel 1939, non vi fu costruito, su progetto dell’architetto Mario Loreti, il palazzo dell’Infps (Istituto nazionale fascista della previdenza sociale), che perse la “f” alla caduta del Fascismo.

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Pubblicato il 22 Marzo 2021
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