Alla sanità lombarda occorrono più medici e territorio: la richiesta dei professori Galli e Zuccotti
Sfide, progetti, limiti e criticità sono emersi nel dibattito organizzato alla serata inaugurale della Festa dell'Unità che ha visto protagonisti i politici Astuti e Monti e i due professori Galli e Zuccotti

Territorio, professionisti, sinergia. Sono i tre ingredienti basilari della sanità del domani. Per l’inaugurazione della stagione 2021 della Festa dell’Unità alla Schiranna, Samuele Astuti, consigliere regionale del PD, ha proposto un dibattito sul tema della salute e del sistema sanitario lombardo a cui hanno preso parte il professor Massimo Galli, professore di malattie infettive all’ospedale Sacco di Milano, il professor Gian Vincenzo Zuccotti, Preside della facoltà di medicina dell’Università degli Studi di Milano e il presidente della Commissione Sanità regionale Emanuele Monti.
Un argomento che ha incontrato il favore del pubblico che ha riempito il salone organizzato nel rispetto delle normative sanitarie.
La revisione della Legge 23, approvata in via sperimentale nel 2015 e che Regione è chiamata a modificare entro fine anno, si interseca con il PNRR, il piano nazionale di ripresa e resilienza che porterà nel paese 222 miliardi dall’Europa di cui 18 da destinare alla sanità. Una sfida importante ma anche cruciale che la Lombardia non potrà fallire facendo tesoro degli errori fatti e delle criticità emerse nel corso dell’ultima pandemia.
Il dito nella piaga è stato messo proprio dai due specialisti. Il professor Galli dopo aver constatato che “la pandemia sarebbe stata una sfida impossibile per chiunque dato che il virus circolava da almeno un mese prima di essere scoperto “ ha rimarcato la fatica quotidiana della lotta nelle corsie e negli ambulatori medici, sforzi clinici e scientifici non compresi fino in fondo da una politica “non sempre matura nel capire le difficoltà”.

Il professor Zuccotti ha poi ricordato che il sistema lombardo evidenziava carenze e difetti già prima della pandemia, debolezze di un modello che permetteva lunghe liste d’attesa o situazioni limite dei pronto soccorso: «La pandemia ha solo accelerato l’emersione dei problemi. Io, però, mi sarei aspettato una reazione più veloce. Invece, ci abbiamo messo molto tempo a trovare la via. C’è stata la fortuna di poter arrivare presto a un vaccino sfruttando i cinque anni di studi pregressi per un vaccino analogo. Anche in questo caso, però, la gestione della campagna vaccinale è stata caotica e fuorviante e gli italiani, già sensibili al tema, hanno reagito d’istinto alla mancanza di chiarezza e alle contraddizioni».
Al di là dei problemi di gestione dell’emergenza, con tutti i limiti di un modello regionale e nazionale spesso in contraddizione, ai due professori universitari appare chiaro che nessuna riforma, pur ricca e creativa, sarà sufficiente a contare quella che , oggi, è il vero punto dolente: la mancanza di professionisti. Dalle università escono poche figure di specialisti rispetto al numero di medici sulla via della pensione. Siamo arrivati al momento di fine carriera dei “boomers” della sanità, le matricole degli anni ’70 che potevano accede liberamente e senza restrizioni ai corsi universitari. Una ricchezza di professionisti che è andata a colmare a tal punto la sanità nazionale da apparire ridondante. Da quel momento è iniziata una riduzione costante e continua delle disponibilità accademiche che scontiamo oggi : « Parlare di realizzazione di nuovi ospedali, di moltiplicazione di servizi, di creazione di strutture territoriali ha poco senso se non ci sono poi i professionisti che li animeranno- ha fatto notare il professor Zuccotti – Gli investimenti di cui si parla sono per infrastrutture mai relativi alla spesa corrente, quella cioè del personale. Se terremo tutto aperto e aumenteremo i punti d erogazione, chi gestirà i servizi? Oggi occorre seriamente pensare a concentrare, riorganizzare sfruttando anche la tecnologia a disposizione, la telemedicina. C’è bisogno di un cambio di passo, abbiamo bisogno di liberarci del mito dell’ospedale sotto casa. È necessario che la sanità sia affidata a pochi presidi davvero efficienti e pronti. In questo momento sono preoccupato del dibattito attorno al PNRR. Negli anni, sono state approvate leggi che avrebbero potuto avviare una governance diversa: parlo della legge Balduzzi che chiedeva ai medici di medicina generale di aggregarsi e aprire studi capaci di dare risposte 7 giorni su sette. Abbiamo il DM70 che imponeva una riorganizzazione della rete indicando parametri e volumi di attività. Tutto è rimasto sulla carta».

Il futuro della sanità lombarda è in discussione in questi mesi nelle aule di Palazzo Lombardia. La commissione presieduta da Emanuele Monti sta ascoltando diversi attori, portatori di interessi, fruitori della sanità. Una ricognizione su punti di forza e di debolezza da cui partire. La giunta regionale ha indicato lo scheletro in un documento che indica la via del rinnovamento e sui cui si lavorerà da settembre per arrivare, entro fine anno, ad approvare le nuove linee guida e i modelli. Un documento che il consigliere Astuti ha definito vacuo e fumoso, che dà suggestioni senza indicare cosa e, soprattutto, come ( Quante ATS? Cosa ne sarà dell’ospedale del Circolo di varese? Che funzione avrà l’Asst? Perchè un bacino di 100.000 abitanti e non 60.000 come indicato dalle linee guida nazionali?).
Emanuele Monti ha ammesso le difficoltà del momento, figlio di anni di tagli approvati da diversi governi: “Siamo il paese in Europa che investe meno in sanità. Ma in un momento così difficile, reputo scellerata la scelta di tagliare proprio alla Lombardia la metà dei posti di formazione per i medici di medicina generale, nonostante le previsioni indichino che la metà dei medici, attualmente in servizio, andrà in pensione nel prossimo quinquennio. La sfida che dobbiamo affrontare è importante perchè mette sul piatto fondi adeguati per innovare profondamente. Dobbiamo andare oltre il DM70 e pensare a migliorare e non a ridurre. Spero che la Lombardia sarà la prima a portare a Roma sia suo piano di ripresa e di resilienza sanitarie».
Centralizzare o rendere autonome le scelte rimane poi l’altro delicato punto con Emanuele Monti che rivendica il ruolo di traino della Lombardia e il suo diritto a contare di più e a meritare, per esempio, un centro europeo per lo studio delle malattie infettive che, di fatto, ponga fine allo strapotere dello Spallanzani di Roma: « Dobbiamo essere più coraggiosi, assumere decisioni importanti e portarle fino in fondo».
Al d là dei progetti impegnativi e ambiziosi, rimane la realtà difficile di oggi con ospedali in difficoltà a contendersi specialistici medici e infermieri mentre il territorio è sempre più solo: « Sono andato in pensione dopo aver trascorso tutta la mia carriera come medico di base – ha raccontato, seduto tra il pubblico, il dottor Filippo Bianchetti – me ne sono andato deluso e stanco, prima ancora che scoppiasse la pandemia. Noi medici di famiglia siamo stati completamente abbandonati. La Legge 23 ci ha tolto ogni sostegno, abbiamo perso ruolo e dignità. Tanti sono gli autori di questa situazione, non ultima l’università che ha permesso di impoverire la nostra categoria: c’erano problemi economici, è indubbio, ma il mondo accademico non poteva non sapere il rischio che si correva. E che oggi stiamo pagando».
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