Samuele Martinenghi, quando il successo è di famiglia

Confartigianto Varese ha dedicato una bella intervista al papà di Nicolò, il campione olimpico di Azzate. Ha raccontato il suo rapporto con il lavoro, lo sport e gli impegni dei figli

Alto, mani fatte per tirare a canestro che invece realizzano gioielli. È Samuele Martinenghi. Il cognome ai varesini non suona nuovo ma ora, dopo le Olimpiadi di Tokyo, è famoso in tutto il mondo e lo si associa a Nicolò, un giovanotto dalle spalle larghe che ha vinto due medaglie di bronzo, la prima nei 100 rana la seconda, qualche giorno dopo, con la staffetta 4×100 mista maschile.

Samuele, cresciuto alla Pallacanestro Ignis e poi alla Robur,  è il papà di Nicolò: vivono ad Azzate, in una bella casa che guarda il lago di Varese. Confartigianato Varese gli ha dedicato una lunga intervista, in cui l’imprenditore Martinenghi racconta, tra le altre cose, il suo rapporto con il lavoro e la difficoltà di conciliare il lavoro e gli allenamenti dei figli Nicolò e Jacopo. Ne esce un quadro molto “umano”: corse per andare a prendere e portare i ragazzi in piscina anche quattro cinque volte alla settimana e il lavoro la sera in laboratorio, per recuperare le ore “perse”; la rinuncia al divertimento, al tempo passato con gli amici. «È uno stile di vita – dice- , ci si adegua ma soprattutto serve a insegnare che si deve dedicare tutto il tempo necessario per raggiungere il proprio obiettivo»

E alla fine i risultati arrivano, nello sport come nel lavoro. Apprendista alla scuola della Manfredi Gioielli e più avanti socio della Cennini Gioielli, intorno ai primi anni 90 apre un laboratorio tutto suo e diventa imprenditore

…Samuele torna a lavorare sulla incastonatura, va alla ricerca dei brand migliori, setaccia la piazza di Milano. Quella che, ancora oggi, è il suo punto di riferimento. Così, l’imprenditore varesino crea una squadra superspecializzata, occupa 19 collaboratori e tratta tra le 40mila e le 50mila pietre al mese. Fornitori e clienti aumentano a dismisura: “Ad un certo punto mi rendo conto che quello che mi piace fare, non lo faccio più. Passo più tempo ad amministrare l’azienda che a fare l’artigiano: perché questo sono e voglio essere ancora oggi”. Martinenghi cambia un’altra volta strategia: “Credo nei rapporti umani e decido di fare ritorno alle mie origini: lavori di altissima qualità e di altissimo livello. Non sono un numero e così non mi considerano i miei clienti. Lavoro lo stesso con brand industriali, ma in modo diverso: sto seduto dieci ore al banco orafo, ho i miei piccoli segreti e sono veloce nelle realizzazioni”. Il segreto sta nel cogliere non solo il momento ma anche nell’anticipare il mercato e la strumentazione che ti permette di essere un passo avanti: “Ricordo che nel 1988 usavo già il microscopio, che nel circuito varesino non esisteva neppure. La scoperta l’ho fatta a Basilea, in un laboratorio che lavorava per l’orologeria svizzera. E proprio in Svizzera ho passato otto anni della mia vita imparando ad incastonare le pietre preziose sui quadranti” (qui l’articolo completo)

Ma in casa Martinenghi c’è un’altra storia di imprenditoria davvero molto bella e questa volta riguarda la mamma di Nicolò, Alessandra Pirola. Anche “Pirola” è cognome conosciutissimo a Varese e da tempi ben più antichi. Il papà di Alessandra è niente di meno che l’inventore dell’Apollo 11, il raffinato cocktail dal color rosa che tutti sorseggiano in Corso Matteotti. Lo ha creato proprio il nonno di Martinenghi, Pietro Pirola, per omaggiare lo sbarco del primo uomo sulla lunga il 20 luglio 1969.

Insomma, una famiglia destinata al successo, un successo meritato raggiunto con fatica ed impegno.

 

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Pubblicato il 06 Agosto 2021
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