Nikolajevka (26 gennaio 1943)
di Abramo Vane
Chi si ferma è perduto! gridano i tenenti. Chi si ferma è perduto! ripetono i sergenti.
Cammino un giorno intero. Sono stanco, ho fame, ho sonno. Fiume ghiacciato. Terreno ghiacciato. Nevica, e la neve si accumula. Un passo dopo l’altro, e con la neve fresca il passo è più pesante. Ho fame. Ho sonno. Voglia di buttarmi in questa morbidezza, e dormire. Per sempre. Addio, mondo fasullo. Mi hai ingannato, e io c’ho creduto. Ho creduto all’amore. È finita, prima di cominciare. Papà, mamma, fratelli, sorelle. Amici. Mi ricorderete. Quella volta in cui. Olga, in un solo giorno ti ho dimenticata. Non sono più un uomo. Cammino e cammino. Ti prometto, però. L’ultima immagine sarai tu. L’amore. Cammino e cammino, cammino. Laggiù una luce, un’isba. Devo arrivarci. Devo. Salvo la vita. Non è la mia terra. Ho lasciato a casa l’amore perché avevo un dovere da compiere. Adesso l’ho compiuto, ci sono passato dentro, al dovere. Ne sono uscito. Sono un uomo libero. Libero. Voglio solo amare.
Cammino cammino cammino. Chi si ferma è perduto. I russi attaccano, sparano. Oggi c’è il sole. Pallido, ha una faccia da funerale. Il nostro. È lì per vedere, per farci le condoglianze. E le pernacchie. Ride di noi, stupidi animali. Incontro alpini che hanno camminato avanti e adesso si sono afflosciati. Feriti, induriti dal freddo.
Uno è steso, rannicchiato. Un modo originale per trapassare. Un feto nella placenta. È già morto, e prega ancora. La morte ama tutti.
Un altro è in croce. Gli è venuto spontaneo stendersi come un Gesù Cristo. Non c’è Maddalena, non ci sono le pie donne, e chi passa capisce. La morte ama tutti.
Un alpino si è inginocchiato, e così è rimasto. Figurante di un presepe. Ma qui è il calvario. Dentro tutta la vita, da Betlemme alle Tre croci. La morte ama tutti.
Vedo il poeta Bernasconi Alvaro seduto nella neve. Alvaro, Alvaro. Non ce l’ha fatta. Gli è bastata una notte di gelo. C’è qualcosa di nuovo oggi nel sole, anzi d’antico. La morte ama tutti.
Io no, resisto, e cammino. Vivo il doppio, come quel giorno che mi alzai con Olga nella mente. Io sono quello che morirà, e guardo i morti che camminano con me. Sono cosciente. Il soldato che racconta è un altro. Lui scrive nel vento, e consegna parole all’Infinito. Io ho lo zaino in spalla, il fucile a tracolla.
Pagina tratta da “Il soldato inutile” di Abramo Vane Edizioni Il cavedio (www.ilcavedio.org)
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