La Brunella di Varese saluta un amico: “Addio vecchio faggio, ci mancherai tanto”
Nei giorni scorsi è stato abbattuto in via Zara un grande faggio secolare, colpito da un fungo. Per i proprietari del giardino in cui cresceva e per tutto il quartiere era una presenza viva e oggi resta un grande vuoto, nel paesaggio urbano ma non solo

Il quartiere della Brunella ha dato l’addio al grande faggio che da oltre un secolo caratterizzava con la sua presenza l’incrocio tra via Zara e via Marzorati, segnando con i suoi colori il cambio delle stagioni.
Pur cresciuto nel giardino di una villetta d’epoca che fu dell’ingegner Macchi, fondatore dell’Aermacchi, l’albero era ormai patrimonio dell’intero quartiere, che oggi ne piange la scomparsa.
«Era un albero bellissimo e maestoso – racconta la dottoressa Cristina Romano, proprietaria della casa – Alto 36 metri, aveva una base di oltre 6 metri. Era cresciuto tanto per cercare la luce dal momento che lo circondavano le case ma ormai era stanco e malato. Un fungo malefico aveva minato le basi della pianta ed è stato necessario abbatterla».
Il faggio con la sua villetta sorta all’inizio del ‘900 faceva parte di quella Varese della Belle Époque durante la quale furono costruite le testimonianze più gloriose della Città Giardino: il Kursal nel 1905, il Gran Hotel Campo dei Fiori nel 1912 e l’anno successivo il Grand Hotel Palace, così come tante ville – da Villa Agosteo a Villa Ambra, Villa Margherita, Villa Brusotti – Un’epoca durane la quale i varesini ammontavano erano poco più di 20.700, contro gli 80mila residenti di oggi.
Il faggio di via Zara ha resistito alla crescita industriale della città, caratterizzata da una forte inurbazione, e all’immigrazione degli anni ’60 e ’70 che ha portato al raddoppio della popolazione in brevissimo tempo. Ha resistito alla costruzione dei condomini di via Zara in un quartiere popolato quattro volte di più rispetto ai tempi della città aristocratica, borghese e contadina dei primi del ‘900. Non ha resistito a un piccolo fungo che lo ha minato dall’interno.
Il grande faggio ha lasciato un vuoto evidente, nel paesaggio urbano e nel cuore dei residenti: «La gente passa, ci suona al campanello e chiede – dice ancora Cristina – Un vuoto che fa pensare e a noi che abbiamo vissuto per trent’anni insieme al faggio, fa una grande nostalgia. Era bello vederlo in ogni stagione, affacciarsi alla finestra e ammirare le sue foglie, o il disegno dei suoi rami nudi d’inverno. Era bello anche il piccolo sottobosco che aveva creato. Adesso fuori dalla finestra vediamo solo il palazzo di fronte. Salutiamo il nostro faggio ringraziandolo per quello che ha regalato ai nostri cuori e alla nostra anima e per il benessere che ci ha dato attraverso il suo “polmone di verde ” che ha anche accolto tra le sue fronde scoiattoli e uccelli di ogni specie. Era “solo” un albero ma ci manca tantissimo e mancherà a tutto il quartiere».

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