Università dell’Insubria, una ricerca svela il ruolo dell’epigenetica nel mediare gli effetti tossici dei nanomateriali
Pubblicato uno studio coordinato da Roberto Papait e realizzato nel laboratorio di Biologia cellulare diretto da Giovanni Bernardini e Rosalba Gornati, Dipartimento di Biotecnologie e scienze della vita

Uno studio innovativo per investigare il possibile ruolo dell’epigenetica nel mediare gli effetti tossici dei nanomateriali è stato condotto dal laboratorio di Biologia cellulare del Dipartimento di Biotecnologie e scienze della vita dell’Università dell’Insubria, guidato dai professori Giovanni Bernardini e Rosalba Gornati. Le nanoparticelle sono ampiamente usate nella vita quotidiana, per esempio nel campo medico per la diagnosi e la terapia, nell’industria alimentare e cosmetica; tuttavia, molte informazioni riguardo alla loro tossicità rimangano ancora da chiarire.
Nel corso della ricerca pubblicata sulla prestigiosa rivista Nano Letters sono stati esaminati gli impatti di due diverse nanoparticelle a base di ferro, sviluppate dal consorzio europeo Hotzyme, su una popolazione di cellule coltivate in vitro, allo scopo di analizzarne le possibili alterazioni nello stato epigenetico e trascrizionale.
Le nanoparticelle hanno dimostrato un’influenza significativa sul comportamento delle cellule, spingendole a esprimere geni che sono correlati alla tossicità attraverso una regolazione epigenetica delle regioni genomiche, note come enhancer, che giocano un ruolo cruciale nella gestione dell’espressione genica. In altre parole, le nanoparticelle hanno il potere di manipolare l’attività epigenetica delle cellule, facendo sì che esse esprimano geni legati alla tossicità.
La scoperta ha sottolineato un aspetto chiave nell’entità della tossicità indotta dalle nanoparticelle: mostra infatti che i cambiamenti nell’epigenetica cellulare possono essere un meccanismo fondamentale attraverso il quale queste particelle minuscole, ma potenzialmente dannose, possono causare danni. Questo studio getta le basi per una comprensione più profonda di come le nanoparticelle possano influenzare il nostro organismo a livello molecolare, portandoci un passo più vicino alla valutazione completa dei rischi legati al loro utilizzo.
«Si aprono nuove prospettive nella nostra compressione dei meccanismi cellulari responsabili della tossicità delle nanoparticelle, in cui è evidente il ruolo cruciale dell’epigenetica – ha spiegato il professor Roberto Papait, coordinatore del progetto -. I risultati ottenuti potrebbero essere utili nello sviluppo di saggi capaci di valutare la tossicità in modo più completo rispetto a quanto possibile con gli attuali test di tossicologia».
Questa scoperta potrebbe avere un impatto significativo sulla valutazione della sicurezza delle nanoparticelle utilizzate in una vasta gamma di applicazioni industriali e mediche.
Lo studio ha coinvolto Federica Gamberoni e Simone Serio, studenti del dottorato di Medicina sperimentale e traslazionale, e le ricercatrici Marina Borgese e Christina Pagiatakis. I lavori di ricerca sono stati possibili anche grazie alla collaborazione internazionale del gruppo diretto dalla professoressa Valeria Grazù dell’Instituto de Nanociencia y materiales de Aragón dell’Università di Saragozza.
Per ulteriori informazioni sulla ricerca e per accedere all’articolo completo: https://pubs.acs.org/doi/full/10.1021/acs.nanolett.3c01967
Nella foto (da sinistra) Rosalba Gornati, Christina Pagiatakis, Federica Gamberoni, Simone Serio, Giovanni Bernardini, Roberto Papait
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