“Fermare i suicidi in carcere”, tre giorni di sciopero dei penalisti e manifestazione a Roma

I penalisti: “Irresponsabile indifferenza della politica di fronte al dramma del sovraffollamento". Maratona oratoria in programma a Roma l'11. Le associazioni accademiche: “Trattamenti inumani e degradanti". I problemi e le soluzioni proposte

Generico 08 Jul 2024

L’ultimo, tragico episodio a Varese nella notte fra lunedì e martedì quando un detenuto di 57 anni si è tolto la vita al carcere dei Miogni.

Una situazione legata alle condizioni dei cittadini privati della libertà per motivi penali dallo Stato che gli avvocati penalisti italiani ritengono inaccettabile e per la quale hanno indetto uno sciopero di tre giorni per il 10, 11 e 12 luglio che culminerà con una maratona oratorio a Roma, l’11.

I temi su cui gli avvocati vogliono concentrare l’attenzione sono il sovraffollamento delle carceri, l’insufficienza e la vetustà delle strutture carcerarie.

«Prosegue la mancanza di un programma di serie riforme strutturali e di ripensamento dell’intera esecuzione penale», spiegano gli avvocati «e l’irresponsabile indifferenza della politica di fronte al dramma del sovraffollamento ed alla tragedia dei fenomeni suicidari. In chiusura delle maratone oratorie organizzate dalle singole camere penali sui rispettivi territori, l’Unione organizza una manifestazione nazionale a Roma, in Piazza dei Santi Apostoli, in data 11 luglio 2024 dalle ore 14.30, a cui parteciperanno, oltre ai penalisti italiani, tanti esponenti della società civile, dell’associazionismo, non solo forense, e della politica».

In una nota dello scorso giugno, tre associazioni di studiosi di diritto (Associazione italiana dei professori di diritto penale, Associazione tra gli studiosi del processo penale “G.D. Pisapia, e Associazione italiana dei costituzionalisti) hanno manifestato forte preoccupazione per le condizioni delle carceri, esponendo problematiche e numeri.

«Preoccupa, innanzitutto, il tasso di sovraffollamento carccrario, prossimo alla soglia che portò nel 2013 la Corte europea dei diritti dell’uomo a condannare l’Italia per la violazione dell’art. 3 CEDU sul divieto di trattamenti inumani e degradanti. Secondo i dati pubblicati dal Ministero della giustizia, al 31 maggio 2024 erano presenti 61.547 detenuti a fronte di 51.241 posti regolamentari».

I PROBLEMI TECNICI

«Nel corso del tempo abbiamo assistito al fallimento dei processi di riforma del sistema sanzionatorio», scrivono gli accademici penalisti: «Tramontate le stagioni della revisione dell’intero codice penale, sono fallite anche le proposte – più ristrette, ma ugualmente significative – di rivedere in modo ampio e sistematico i meccanismi sanzionatori, vuoi attraverso la previsione di pene principali non detentive (legge delega n. 67/2014, non attuata) vuoi ampliando il ricorso ai percorsi alternativi al carcere (legge delega n. 103/2017, sul punto non attuata). Pochissimo, infatti, dell’articolata e sistematica proposta di riforma dell’ordinamento penitenziario elaborata dalla Commissione Giostra è stata tradotto nella “mini-riforma” del 2018, così come sono rimaste largamente inevase le proposte operative per l’innovazione del sistema penitenziario elaborate dalla Commissione Ruotolo, salvo alcune azioni amministrative intrapreseva all’indomani della chiusura dei lavori».

Inoltre «i meccanismi deflativi che riducono la risposta penale carceraria (causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto, sospensione del processo con messa alla prova, condotte riparatorie e, da ultimo, pene sostitutive delle pene detentive brevi di cui al d. lgs. 150/2022) sembrano non aver inciso in maniera significativa sulla detenzione carceraria, pure per effetto di un inidoneo adeguamento del sistema, sotto il profilo amministrativo e gestionale (si pensi alle difficoltà riscontrate, soprattutto per carenze di personale, nella tempestiva elaborazione dei programmi di trattamento da parte degli Uffici di Esecuzione Penale Esterna, necessaria per l’applicazione delle pene sostitutive).

Il quadro è aggravato dall’aumento percentuale dei detenuti in essecuzione di pena detentiva brevi: le reclusioni fino ad un anno sono passate dal 3,1% nel 2021 al 3,7% nel 2022; per quelle fino a tre anni, si è passati da 19,1% a 20,3% (Rapporto Antigone 2023). Anche i processi di depenalizzazione avviati negli ultimi anni non sono riusciti a contenere gli ingressi in carcere, in quanto intervenuti su fattispecie marginali o che non avrebbero comunque dato luogo all’applicazione di pene detentive.

A rendere ancor più allarmante la situazione è la presenza di 90.000 condannati c.d. “liberi sospesi” (lo ricorda la Corte costituzionale nella recente sentenza n. 84/2024), per i quali l’irragionevole distanza temporale tra il momento di commissione del reato, il passaggio in giudicato della sentenza e quello, infine, di esecuzione della pena rende quest’ultima del tutto sganciata dalla sua funzione rieducativa, assente quando è eseguita – in carcere o in misura alternativa – anni dopo la condanna definitiva».

LE SOLUZIONI

«Quanto al segno e alla natura delle misure che sarebbe necessario introdurre», spiegano gli studiosi nella missiva del 20 giugno 2024, «vi è larga condivisione tra i giuristi che pongono mente ai principi costituzionali e all’efficacia della legislazione ordinaria, e tra gli operatori a ogni titolo in rapporto con il mondo carcerario:
a. un più ampio ricorso a percorsi alternativi al carcere che, se supportati da programmi di effettiva presa in carico dei detenuti, sono in grado di ridurre la recidiva, essendo empiricamente comprovato che questa si riduce dall’ottanta a circa il diciannove per cento quando siano state applicate misure alternative;
b. azioni amministrative sempre più orientate all’attuazione dei principi internazionali e costituzionali, nella consapevolezza per cui l’inveramento del «volto costituzionale della pena» richiede il combinato operare del legislatore, della magistratura di sorveglianza e dell’amministrazione della giustizia in tutte le sue articolazioni, centrali e periferiche, in congruenza con quanto ribadito dalla Corte costituzionale con specifico riguardo al tema del diritto all’affettività inframuraria (sentenza n. 10 del 2024). Tali azioni dovrebbero essere sostenute da adeguati investimenti, anche in strutture ad esse dedicate, in modo da garantire ai detenuti più ampi spazi di vivibilità, sia nelle celle sia nelle zone comuni destinate ad attività rieducative. Le criticità costituzionali nell’esecuzione penale, invero, non possono essere affrontate in una prospettiva meramente securitaria, introducendo nuovi reati e corpi speciali rivolti a sedarli, mantenendo l’attuale tasso di sovraffollamento, tra le prime cause del tragico aumento progressivo dei suicidi in carcere;
c. norme e misure che pongano limite all’impiego inflazionato della custodia cautelare in carcere: malgrado le censure della Corte europea dei diritti dell’uomo, una quota della vasta popolazione carceraria italiana, oscillante tra un quarto e un terzo del totale, è costituita a detenuti in attesa di giudizio, cioè da persone da presumete non colpevoli secondo l’art. 27, c. 2, Cost.;
d. Investimenti in attività trattamentali che consentano di ridurre al minimo necessario il ricorso al regime delle “celle chiuse”, in modo da non comprimere oltre il necessario la libertà di movimento dei detenuti nell’osservanza piEna dell’ordinamento penitenziario».

Andrea Camurani
andrea.camurani@varesenews.it

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Pubblicato il 10 Luglio 2024
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