Assolto anche in Appello il sindacalista accusato di violenza sessuale su una hostess a Malpensa
La Procura Generale aveva chiesto di ribaltare il giudizio di primo grado ma per i giudici dell'Appello «mancano i requisiti della violenza, minaccia o abuso di autorità. Lei poteva sottrarsi»
Anche il processo di secondo grado nei confronti del sindacalista di Malpensa accusato di violenza sessuale da una hostess si è chiuso con l’assoluzione dell’imputato. La notizia è stata riportata dall’Ansa.
Secondo i giudici della Corte d’Appello di Milano, infatti, l’imputato non avrebbe adoperato alcuna forma di violenza «ancorché si sia trattato, effettivamente, di toccamenti repentini» non sarebbero stati «tali da porre la persona offesa in una situazione di assoluta impossibilità di sottrarsi alla condotta».
La condotta del sindacalista – proseguono i giudici nel dispositivo di sentenza – «non ha (senz’altro) vanificato ogni possibile reazione della parte offesa, essendosi protratta per una finestra temporale (20-30 secondi)», che «le avrebbe consentito anche di potersi dileguare». Lo scrive la Corte d’Appello di Milano nelle motivazioni alla sentenza che ha confermato l’assoluzione, confermando la sentenza del Tribunale di Busto Arsizio.
I fatti risalgono al 2018 quando la hostess si era rivolta a lui per una vertenza sindacale, incontrandolo all’interno di una stanza utilizzata dalle sigle sindacali. Una sentenza che già in primo grado aveva fatto discutere e che anche dopo il verdetto d’appello era stata bollata dall’Associazione Differenza Donna, con l’avvocato Maria Teresa Manente, come un passo «indietro di 30 anni».
La Procura generale di Milano, col sostituto pg Angelo Renna, aveva chiesto in appello di ribaltare il verdetto di primo grado del Tribunale di Busto Arsizio del 2022 e di condannare il sindacalista.
La Corte nelle cinque pagine di motivazioni, in sostanza, chiarisce che in questo caso mancano i «requisiti» della «violenza, minaccia o abuso di autorità» per configurare il reato di violenza sessuale e che «la qualifica e il ruolo rivestito dall’imputato non comportavano, in concreto, alcuna supremazia» nei confronti della donna.
Per i giudici non può sussistere «l’ipotesi di atti sessuali repentini aventi rilevanza penale», anche perché la stessa parte civile, spiega la Corte, «ha precisato come i toccamenti e i baci (…) siano poi stati protratti per un tempo di circa trenta secondi, in cui ella aveva continuato a sfogliare e a leggere i documenti».
Per i giudici, inoltre, per la donna non c’era alcuno stato di «timore indotto dalla corporatura massiccia dell’imputato», avendo «avuto questa Corte agio di constatare che trattasi di individuo di stazza assolutamente normale».
I giudici, tra l’altro, ribadiscono, in un passaggio finale delle motivazioni, «la infondatezza di opzioni ermeneutiche intese ad arricchire il catalogo della condotte sessualmente violente».
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