A Varese il processo: “Ho denunciato ma me ne pento: quelle le botte erano per il sesso, noi lo facevamo così“

Racconto in aula in un processo per violenza sessuale. La vittima racconta di fronte al Collegio: “Quella sera il litigio complice alcool e droga, e poi..."

tribunale varese

Il sesso intenso e praticato anche in luoghi quasi aperti al pubblico come i bagni di ristoranti e simili; l’ammissione di pratiche erotiche estreme come «bondage» e «sado-maso», roba che lascia i lividi, o perlomeno arrossamenti dovuti alla cera bollente sparsa sul corpo.

Ma non una visione del tutto libertina dei rapporti intimi, in quanto la relazione venuta allo scoperto in una testimonianza di persona offesa in un delicato processo per violenza sessuale e maltrattamenti, era una relazione permeata di gelosia. Anche ossessiva. Quasi una devianza che riguardava entrambi i ragazzi, lui e lei, ma che pendeva più dalla parte dell’uomo che avrebbe assoldato un investigatore privato per scoprire i tradimenti.

Una sorta di tallone d’Achille per la giovane e avvenente coppia, dal momento che in un’occasione, complice anche l’alcool e qualche spinello, la giovane donna ha abbandonato la casa del fidanzato e in lacrime si è avviata su una provinciale di una delle Valli del Nord della provincia. Qui – i fatti sono di alcuni anni fa – è stata caricata in auto da una brava signora che si era preoccupata per quella giovane in lacrime con dei borsoni in mano che ha accettato il passaggio. «Che ti è successo?». «Il mio ragazzo mi ha messo le mani addosso, e…».

Un racconto bastevole per convincere la donna al volante – anche lei sentita come testimone giovedì in aula – ad accompagnare la ragazza nella più vicina stazione dei carabinieri per mettere nero su bianco quanto avvenuto. E quanto avvenuto, tornando alla testimonianza della parte offesa oggi pronunciata in aula nei minimi dettagli, non era da ricondursi ad un atto di sopraffazione sessuale dal momento che la coppia, come anticipato, aveva frequenti e violenti congressi carnali. Ma il dado è tratto: per reati di questa natura, cosiddetti «ostativi», non è possibile sospendere il procedimento ritirando semplicemente la querela.

Una volta attivata l’azione penale, se vi sono i presupposti tecnici e di legge, si va a processo. Proprio come sta avvenendo in questi giorni dove oltre alle prime due testimoni hanno parlato anche l’infermiera di pronto soccorso che ha visitato la ragazza, che dopo la denuncia è stata portata all’ospedale di Varese per una visita ginecologica, e una psicologa. Il processo continua il prossimo 19 giugno.

Andrea Camurani
andrea.camurani@varesenews.it

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Pubblicato il 13 Marzo 2025
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