“I dati sono sempre più arsenali di guerra”: a Glocal si prova a decifrare il “cybercaos”
Al festival del giornalismo a Varese Michele Mezza ha moderato l'incontro dedicato alla cybersicurezza. II giornalista Raffaele Angius, Arturo Di Corinto (Acn) e Pieguido Iezzi (Tinexta) in un vivace dialogo per analizzare i rapporti della cybersecurity con il giornalismo come ha influenato guerra, elezioni, finanza
«Il caos è solo un ordine che ancora non abbiamo imparato a decifrare». È iniziato e si è concluso con una riformulazione del pensiero del filosofo francese Henri Bergson il panel di venerdì 8 novembre al festival del giornalismo Glocal di Varese, dedicato alla cybersecurity e al “cybercaos”.
Oggi la sicurezza informatica è qualcosa che accompagna praticamente ogni nostro movimento: con un telefono in tasca, la quasi totalità dei nostri gesti lascia una traccia contenente un dato, e quindi informazioni. «Un tema di scottante attualità in un mondo in cui la cybersecurity non è più un servizio, ma il contenuto prioritario dello scambio di informazioni», ha commentato il giornalista e saggista Michele Mezza, intervenendo in Sala Campiotti a Varese insieme al giornalista Raffaele Angius (IrpiMedia, Indip), Arturo Di Corinto (responsabile comunicazione di Acn, Agenzia per la Cybersicurezza Nazionale) e Pierguido Iezzi (Tinexta), per offrire una visione a 360 gradi sui temi legati a guerra, politica, finanza e il loro rapporto con il giornalismo.
«Solo qualche mese fa la cybersecurity era una tecnica riservata a pochi iniziati, ora è una preoccupazione e un problema di alto livello», prosegue Mezza. «Proprio oggi, sul Venerdì di Repubblica, una vignetta di Altan diceva: “Mi sono auto-hackerato e ne ho scoperte delle belle”. Al di là della battuta, oggi la connettività è diventata una logistica a tutti i livelli, anche militare. Basti pensare ai cercapersone di Hezbollah esplosi. Chiunque abbia in tasca un dispositivo connesso a una rete è, potenzialmente, un bersaglio. La società omologa la guerra alle sue pratiche, modalità di comunicazione e organizzazione. La profilazione dei dati sta diventando il vero arsenale militare».
Altri esempi includono le recenti elezioni statunitensi e l’affondamento del Bayesian. «Il cybercaos modifica la cultura del giornalismo, costringendolo a operare “spalla a spalla” con apparati che alterano le fonti dell’informazione. Un tempo, nel giornalismo, dal fatto si risaliva alla fonte per validarlo; oggi, invece, dal fatto emergono infinite fonti, tutte documentabili e tutte verosimili: capire quale sia quella autentica richiede pratica, competenza e abilità che non sempre fanno parte del bagaglio professionale e spesso si trovano “fuori dal perimetro”».
Secondo Angius, il giornalismo affronta temi sempre più complessi, ma comprensibili grazie al lavoro tradizionale del giornalista, «a cui non viene chiesto di essere un esperto di ogni argomento, ma di connettersi e dialogare con gli esperti e con le proprie fonti per arrivare alla comprensione. Quel che serve è una consapevolezza, perché ormai da più di dieci anni è chiaro che il mondo digitale produce effetti fisici. Ciò che dice Altan non è solo divertente, ma è anche puntualmente vero», prosegue Angius tornando sul tema del “dato”. «I ragazzi nati dopo gli anni Duemila hanno iniziato a produrre dati prima ancora di nascere. Come? La carta di credito dei loro genitori ha già fornito numerose informazioni prima della loro nascita».
Anche il mondo delle imprese non può rimanere immune al “cybercaos”. «Parlare di cyber è, per certi aspetti, “semplice”», sottolinea Iezzi, entrando nel merito della direttiva NIS 2 per il rafforzamento della sicurezza informatica. «Le aziende hanno compreso la necessità reale di tutelarsi, ma esiste un problema di budget quando si affronta il mercato. Nel frattempo, si è iniziato a parlare di sovranità digitale: il nostro governo ha avviato un piano di digitalizzazione importante, dando vita all’Acn e realizzando una serie di azioni per formare cittadini e proprietari d’azienda. La direttiva NIS 2 parla di “resilienza”, non di protezione o resistenza, ovvero della capacità di un’azienda di ripristinare la propria operatività».
L’informazione diventa così un elemento di sicurezza dello Stato, non più un semplice cane da guardia, ma un elemento organico, cambiando anche i paradigmi. A riguardo è intervenuto Arturo Di Corinto, giornalista e responsabile della comunicazione dell’Acn, fondata nel 2021: «Tutto è cybersecurity. La resilienza nella cybersecurity è la capacità di un ecosistema cibernetico, in una società completamente digitalizzata dalla mediazione del linguaggio software. L’Agenzia per la Cybersicurezza Nazionale non si occupa di contrastare il cybercrime o il cyberbullismo, ma di proteggere e garantire le infrastrutture critiche essenziali che, tramite la tecnologia, ci permettono di vivere quotidianamente con regolarità. Lo facciamo con hacker bianchi, i “white hat hacker”, che controllano il corretto funzionamento dei soggetti perimetrali, che, se subissero un attacco informatico, metterebbero a rischio la sicurezza nazionale. L’Acn interviene in risposta a incidenti come quelli nelle strutture sanitarie e combatte minacce cyber straniere, come attacchi DDoS o l’eradicazione di ransomware, virus che bloccano tutto ciò che è mediato dal software».
«Uno degli usi dell’informatica oggi è la profilazione e la connessione rispetto a un target che si vuole influenzare», prosegue Di Corinto. «Le misure attive sono quei comportamenti manipolatori volti a modificare le azioni del target avversario, spingendolo a fare qualcosa che non avrebbe fatto spontaneamente. Questa tecnica si può realizzare tramite la tecnologia, con il “tunnelling”. L’informatica modifica il comportamento esponendo le persone a informazioni mirate, in grado di innescare comportamenti precisi che avvantaggiano l’avversario. Se in passato si usavano le tangenti, oggi si usano misinformation (informazioni errate), mal-information (informazioni dannose diffuse per danneggiare un obiettivo) e disinformation (informazioni che mescolano vero e falso)».
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