“Mia mamma uccisa da mio padre”, il ricordo ad Albizzate a 28anni dall’omicidio alle poste
L’amministrazione comunale di Albizzate, in collaborazione con Anemos Italia e gli Stati Generali delle Donne, ha voluto restituire dignità e memoria con una panchina rossa ad una vicenda che all’epoca colpì profondamente la comunità
È stata inaugurata domenica 30 marzo in piazza San Marco, nella frazione di Valdarno ad Albizzate, una panchina rossa in memoria di Olga Granà, vittima di femminicidio il 26 luglio del 1997. Olga aveva 51 anni quando fu uccisa con sette colpi di ascia dall’ex marito, Salvatore Delmonte, davanti all’ufficio postale del paese. Fu aggredita e lasciata senza vita sul marciapiede.
A quasi 28 anni da quel giorno, l’amministrazione comunale di Albizzate, in collaborazione con Anemos Italia e gli Stati Generali delle Donne, ha voluto restituire dignità e memoria a una vicenda che all’epoca colpì profondamente la comunità, ma che non trovò le parole – né le leggi – per essere riconosciuta con il nome che oggi conosciamo: femminicidio.
Alla cerimonia, promossa dal vicesindaco Eliana Brusa, sono intervenuti il sindaco Mirko Zorzo, Anna Marsella, presidente di Anemos Italia, e Luisa Cortese, ambassador degli Stati Generali delle Donne. Presente anche Giuseppe Del Monte, figlio di Olga e fondatore dell’associazione Olga – Oltre La Grande Assenza, che da anni opera sul territorio nazionale per sensibilizzare sul tema della violenza domestica e supportare le donne in difficoltà.
Visibilmente commosso, Giuseppe ha ricordato pubblicamente la madre con un intervento toccante, che ha ripercorso non solo il dolore, ma anche la forza e il riscatto di una donna che aveva saputo rinascere: «Olga aveva trovato qui, ad Albizzate, la sua libertà. Era riuscita a scappare da anni di violenze, a ricostruirsi una vita con noi figli, a comprare casa, a lavorare. Era una donna che ce l’aveva fatta. Ma quella libertà è durata solo cinque anni».

Nel suo discorso ha voluto sottolineare il contesto di quegli anni: l’assenza di leggi, di protezioni, di una rete sociale capace di ascoltare e intervenire. «Non esisteva nemmeno il termine femminicidio – ha detto – e la violenza domestica era qualcosa di cui vergognarsi, da tenere nascosta. Non fummo aiutati da nessuno, se non dal buon cuore di qualche singolo». Oggi, ha aggiunto, qualcosa è cambiato: «Esistono leggi, tutele, strumenti per uscire dalla violenza. Ma molto resta ancora da fare».
L’associazione Olga è nata proprio con questo intento: far vivere la memoria di una donna straordinaria e trasformare un lutto in testimonianza. «Il mio obiettivo – ha concluso Giuseppe – è rendere mia madre immortale. E fare in modo che la sua morte non sia stata vana».
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