Stalking e danneggiamenti, la pm chiede 5 anni e 7 mesi per Marco Manfrinati
La richiesta dell'accusa. Tensioni in aula prima della chiusura del dibattimento. La difesa chiede l'assoluzione: “Nessuna prova a carico dell'imputato"
Il codice penale non prevede scriminanti di nessun genere, nessuna attenuante che possa giustificare gli atti persecutori, non ne prevede per l’ex moglie che potesse costruirsi un’altra vita con un’altra persona; non ne prevede per il diritto alla genitorialità negato.
Con queste motivazioni dopo una lunga e preparata requisitoria la pm Claudia Maria Contini ha pronunciato la richiesta di condanna per Marco Manfrinati, l’avvocato di 41 anni oggi in carcere con l’accusa di omicidio del suocero e di tentato omicidio della moglie ma in aula mercoledì per rispondere del reato di atti persecutori. Un’udienza che si è aperta con l’escussione dell’ultimo teste, il fratello dell’imputato e con l’ascolto di una chiamata registrata fra la fidanzata di quest’ultimo e una delle parti offese di questo procedimento, Lavinia Limido (costituitasi parte civile insieme alle altre offese dal reato).
È proprio durante questa prima fase dell’udienza l’imputato ha fissato lungamente e con fare ostile il difensore di parte civile Fabio Ambrosetti, per poi esternare un labiale molto violento rivolto al legale (avvocato descritto dallo stesso imputato nel corso del suo esame come un «obiettivo militare giusto»). Tensioni smontate dalla massiccia presenza di militari dell’Arma in aula, oltre agli agenti della polizia penitenziaria.
L’udienza è proseguita con la discussione dove ha parlato lo stesso Ambrosetti: «Ho vissuto anche io delle sofferenze in questo processo, ho vissuto da vicino i fatti. Per difendersi si può fare qualunque cosa ma non schiacciare la sofferenza altrui». Ambrosetti ha concluso chiedendo per le parti civili un risarcimento complessivo di 150 mila euro.
Poi è stata la volta del difensore Fabrizio Busignani che nella sua lunga e articolata difesa ha sostenuto l’innocenza del suo cliente. Una discussione di quasi tre ore nella quale sono state riproposte le tesi già accennate durante il dibattimento, vale a dire la necessità di Manfrinati di rimanere in contatto col figlio, di fare il possibile per gestire la sua potestà genitoriale e di essere stato vittima, in pratica, di una macchinazione da parte dei famigliari della moglie.
Prove a sostegno di questa tesi emergerebbero dalle copie forensi dei cellulari sequestrati e analizzati in seguito all’omicidio di via Menotti a Varese, lo scorso anno, conversazioni, whatsapp, foto che evidenzierebbero una diversa realtà dei fatti.
La prossima udienza è in programma per il 28 maggio quando sono attese le repliche di pm e parte civile, oltre che le già annunciate dichiarazioni spontanee dell’imputato. Poi la sentenza.
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