Marco Magrini sul summit di Gallarate: “Democrazia è anche proteggere chi arriva e chiede di essere accolto con dignità”

Per il presidente della Provincia “il vero nemico non è chi arriva con la speranza di una vita migliore, ma chi semina odio, chi costruisce consenso sulla paura, chi sogna società etnicamente omogenee, dimenticando che l’identità di un popolo non è mai stata un monolite, ma un mosaico"

Summit estremisti destra Gallarate

Egregio Direttore,
Ho preferito attendere qualche istante, pesare le parole e tenerle lontane dalle posizioni dei vari partiti prima di poter dire con forza che la provincia di Varese, inteso come territorio che ho il privilegio di amministrare con altri amici e compagni di viaggio, non è quanto andato in scena ieri al Teatro di Gallarate. Ho letto molti commenti circa il valore della nostra democrazia, che permette a chiunque di dire ciò che vuole, anche a chi sostiene con forza l’idea di remigrazione. Lo stesso sindaco di Gallarate Andrea Cassani ha spiegato in diverse interviste il valore della nostra Carta in fatto di libertà di espressione.

Credo, lo dico in amicizia allo stesso Andrea, che la nostra Costituzione dica molte altre cose, anche sul diritto all’accoglienza per esempio. Non possiamo prendere solo ciò che ci aggrada da quello straordinario testo. La libertà di manifestare ed esprimersi è inserita nelle regole democratiche ma, in nome e per conto di queste, non si possono davvero sostenere tutte le tesi anche quelle che proprio il nostro ordinamento non contempla. A chi ha avuto l’ardire sabato di sbandierare l’Articolo 21 circa la libertà di espressione devo rammentare che la stessa Carta contiene disposizioni specifiche e significative contro il fascismo e qualunque idea ad esso collegata, principalmente attraverso la XII disposizione transitoria e finale. Così oggi siamo chiamati non soltanto a riflettere, ma a scegliere quale società vogliamo essere. Viviamo in un tempo in cui parole e concetti che credevamo sepolti nella polvere della storia riaffiorano con nuove vesti, cercando di farsi spazio nel dibattito pubblico anche nella nostra laboriosa provincia. Tra questi, c’è appunto il concetto di remigrazione, un’idea che pretende di risolvere le complessità del nostro tempo con la semplificazione brutale dell’esclusione.

Vorrei essere chiaro, io ripudio questa idea: la democrazia non è solo un sistema di governo. È un patto civile, un’idea collettiva di dignità umana. È il riconoscimento che ogni persona, indipendentemente da dove sia nata, dal colore della sua pelle o dalla sua religione, ha diritto a una voce, a una casa, a una possibilità. La democrazia è il terreno sul quale si costruiscono ponti, non muri. La democrazia autentica non si limita a contare i voti. Si misura nella capacità di garantire i diritti delle minoranze, di tutelare chi è più vulnerabile, di proteggere chi arriva e chiede di essere accolto con dignità. Un Paese che espelle, respinge, discrimina non è più una democrazia: è una comunità che ha rinunciato alla propria umanità. Certo, nessuno nega che la convivenza sia una sfida, che l’integrazione richieda impegno, regole e rispetto reciproco. Ma è proprio nelle sfide che si misura il valore di una nazione. Ed è qui che dobbiamo scegliere se essere un Paese impaurito o una comunità capace di governare la complessità senza cedere alla tentazione della semplificazione violenta.

Il vero nemico non è chi arriva con la speranza di una vita migliore, ma chi semina odio, chi costruisce consenso sulla paura, chi sogna società etnicamente omogenee, dimenticando che l’identità di un popolo non è mai stata un monolite, ma un mosaico. È nella nostra Carta fondamentale che si ritrova il cuore pulsante della democrazia, il riflesso della dignità umana, la tutela dei diritti e la definizione dei doveri di ciascuno di noi. È lì che è scritto chi siamo e, soprattutto, chi vogliamo essere. Certo, proprio perché l’accoglienza è un atto alto, essa deve poggiare su un patto chiaro, leale e reciproco.

Chi arriva nel nostro Paese ha il diritto di essere accolto nella sicurezza e nella dignità, ma ha anche il forte dovere di rispettare le leggi, le regole e i valori fondamentali che tengono insieme la nostra comunità. Il rispetto delle regole non è un’opzione: è il linguaggio comune grazie al quale popoli diversi possono convivere. Non esistono scorciatoie. Accoglienza e legalità non sono in contrasto. Sono le due gambe su cui può camminare una società moderna, giusta e coesa. Se c’è accoglienza senza regole, nasce il disordine. Se ci sono solo regole senza umanità, cresce l’ingiustizia. Il nostro compito è trovare, ogni giorno, il punto di equilibrio tra queste due esigenze, senza cedere alle semplificazioni, senza alimentare paure e senza chiudere gli occhi davanti alle difficoltà.

Sabato nelle interviste qualcuno ha tirato per la giacchetta anche la supremazia del Cristianesimo. Non devo certo vestire io i panni del curato di provincia ma è giusto rammentare che i testi biblici sono popolati di viaggi, fughe, esodi, partenze e ritorni. Sono storie di popoli in cammino, di uomini e donne che abbandonano la propria terra in cerca di salvezza, libertà, pane e speranza. Quello biblico è un messaggio universale, che parla ancora oggi. Ci dice che nessuna terra è davvero solo nostra, che ogni patria è temporanea, e che la fraternità umana si misura soprattutto nel modo in cui trattiamo chi è straniero, debole, pellegrino. Le migrazioni non sono una parentesi della storia. Sono parte della storia dell’uomo. Varese e la sua provincia non si lasciano quindi sporcare da progetti come quello della remigrazione: qui esiste un passato di accoglienza, anche di forte lotta e resistenza per costruire valori democratici resistenti come ponti e non alti e impenetrabili come muri.

Marco Magrini
Presidente della provincia di Varese

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Pubblicato il 19 Maggio 2025
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